Domenica 17 aprile
PASQUA DEL SIGNORE – ANNO C
Lc 24,1-12

Alleluia, alleluia, alleluia. 

Rendete grazie al Signore perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
Dica Israele: «Il suo amore è per sempre».

Alleluia, alleluia, alleluia! 

La destra del Signore si è innalzata,
la destra del Signore ha fatto prodezze.
Non morirò, ma resterò in vita
e annuncerò le opere del Signore. 

Alleluia, alleluia, alleluia! 

La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.

Alleluia, alleluia, alleluia! 

Laudato si’ mi Signore! Alleluia! Con il cuore traboccante di gioia pasquale, oggi contempliamo l’evento centrale della nostra fede: la resurrezione di Cristo! Siamo nel culmine della storia di salvezza, con la liturgia del triduo pasquale. Vi invitiamo a rallentare, a dedicare il tempo per approfondire e pregare su questi versetti della Parola. La lettura dei brani di Luca di questi giorni solenni è stata focalizzata sulla collocazione dei fatti, immersi nel creato. Un orto, un monte e un giardino. Oggi ci troviamo nel giardino, pregustato già nel dialogo tra Gesù e il malfattore sul monte di Golgota. E qui siamo raggiunti da una domanda: Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Gesù non va cercato tra i morti, perché è il Vivente! Lo possiamo incontrare ogni giorno, nella nostra vita quotidiana, se solo impariamo a vivere nella sua logica, spogliandoci dei pregiudizi umani che ci danno una visione distorta del volto di Dio.

Cos’è la resurrezione? Sarebbe forse il caso di chiedercelo, ogni tanto. Oggi è un giorno speciale, per tutti noi, e ci può stare dedicare un po’ della nostra attenzione su questo concetto di fede che spesso rischiamo di dare per scontato. Siamo cristiani, e crediamo in Gesù risorto. Se Gesù non fosse risorto, a cosa crederemmo? Quindi è chiaro che, per la nostra fede, questo è l’evento centrale di tutta la storia. Ma verrebbe da chiedersi: ci crediamo veramente, o siamo come i Sadducei che negavano la resurrezione? Ai Sadducei, Gesù rispondeva: “Non è un Dio dei morti ma dei viventi! Voi siete in grande errore”. Il grande errore che nasce “dal momento che non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio”. Questa è la grande promessa di Dio, fin dall’Antico Testamento, e ribadita da Gesù. E invece, spesso, sembra come se noi crediamo solo a ciò che vediamo, alla luce delle nostre paure. Abbiamo paura della morte, e quindi pensiamo che “finché c’è vita c’è speranza”. La resurrezione è molto di più.

Non si tratta di rianimare un cadavere, in fondo ciò avviene a Lazzaro, che qualche tempo dopo, mesi o anni dopo, morì di nuovo. Tantomeno si tratta della reincarnazione, come se il corpo diventi una sorta di prigione dell’anima. Invece la resurrezione riguarda il corpo e l’anima, insieme perché vivificati dallo spirito di Dio. E’ Dio che dona la resurrezione, che ci consentirà in questo stesso corpo, di avere la forma di Dio, che si manifesta nelle virtù e nei doni dello Spirito. La cosa bella è che si può vivere da risorti già adesso, già oggi, se nelle nostre viscere sentiamo la gioia piena di questa promessa! Incarnare la gioia del padre misericordioso che dice: “questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.

Foto di Brett Sayles da Pexels

“Il primo giorno dopo il sabato” indica il primo giorno della nuova creazione, il primo dei sabati. Con la resurrezione, non c’è più altro che un unico giorno, il giorno del Signore. Ogni domenica, primo giorno della settimana, per questo è memoria della resurrezione di Cristo. Un unico giorno in cui c’è sempre il sole, dopo che abbiamo vissuto una unica lunga notte in cui anche il giorno si è oscurato. Quando il sole è dentro di noi, non esiste neppure alternanza di giorno e notte. Le donne vanno al giardino “di buon mattino”, letteralmente nell’alba fonda, quando il sole inizia a rischiarare il cielo notturno. Avevano dovuto aspettare la fine del sabato, giorno di riposo, e appena possono vanno subito al sepolcro, in questo giardino.

Il sepolcro, in greco μνημεῖον (= mneméion), nel suo termine ha una radice comune con memoria (μνημεῖον) e con morte e le Moire (Μοῖραι), è il segno concreto della coscienza di morte che accompagna la vita degli uomini. Attraverso il sepolcro, gli uomini fanno memoria del destino che accomuna tutti gli umani, cioè gli “humandi” che sono destinati a tornare all’humus, alla terra. Memoria delle origini, siamo tutti fatti di terra, e alla terra destinati a tornare. Una pietra, in ogni sepolcro, separa quindi coloro che sono già morti da coloro che non sono ancora morti. Tutta la nostra cultura può essere basata sulla paura della morte, o sull’esperienza delle donne in questo giardino. Se per noi tutto finisce con la morte, e si ritorna solo alla terra, allora si può rischiare di vivere da avidi, divorati dalla paura. Se ci ricordiamo che, oltre alla terra, Adamo vive con il soffio vitale di Dio, vuol dire che si ritorna anche a Dio, e allora la prospettiva cambia.

“Trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro”, quella grossa pietra messa a separare i vivi dai morti. Rotolata via, come segno concreto e visibile, perché non c’è da separare più vivi e vivi. Quasi al buio, immaginiamo la paura e l’incertezza, nel trovare il giardino diverso da come lo si era lasciato. Quando crollano le nostre certezze, anche se ci fanno soffrire. Avevano portato “con sé gli aromi che avevano preparato”, immaginiamo i sentimenti che animavano queste donne che volevano rendere onore, con amore, al corpo del loro amico. E che invece, trovano la pietra rotolata, e “entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù”. Immaginiamo il terrore delle donne! C’è un vuoto, che rappresenta il centro di tutta la nostra fede. Come il vuoto, la kenosis, rappresenta l’atto creativo di Dio, nel giardino di oggi il vuoto è il segno della nuova creazione, della nuova nascita avvenuta sul legno della croce.

La prima reazione che provano le donne è l’incertezza. Cadono tutte le certezze, prese dall’aporia, cioè dalla consapevolezza di trovarsi a un limite mai vissuto prima. Da un lato la certezza che abbiamo tutti noi esseri “humandi”, che tutto finisce con la morte. Questa certezza viene messa in dubbio, per come viene trovato il sepolcro senza segni di furto. Si insinua un dubbio del ricordo di ciò che Gesù aveva detto in vita, e che nessuno aveva compreso. Messa in dubbio dal desiderio intimo, in ogni uomo, di essere vita. All’incertezza segue il terrore, le donne sono impaurite e chinano il volto a terra.

“Ecco due uomini apparire vicino a loro in vesti sfolgoranti”, ci sono due angeli, due portatori di annuncio. Gesù è già risorto, a Luca interessa raccontare come credere ad un annuncio, perché parla a Teofilo e alle persone della terza generazione di cristiani, cioè a tutti noi che non conosciamo testimoni diretti o amici di testimoni oculari. Sono questi due uomini ad annunciare, oggi, la resurrezione, attraverso una domanda: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” Magari incontrassimo nella vita bravi maestri che ci pongono domande corrette, che ci aprono lo sguardo e ci portano vita! Ci aiutano a ricostruire le nostre certezze, a partire dai nostri ricordi.

Foto di Maurício Eugênio da Pexels

“Ricordatevi come vi parlò” suona oggi come un invito a tutti noi, oggi al termine di questo Cammino Laudato Si’ che in queste domeniche ci ha portato a uno sguardo più attento sulla Scrittura. E più in generale, è un invito alla vita di ogni giorno, accompagnata dal ricordo delle parole di vita che abbiamo ricevuto in questi anni, a messa nella nostra parrocchia, o seguendo cammini di approfondimento della scrittura, esercizi spirituali, Ritiri Laudato Si’, pellegrinaggi, incontri personali con chi ci ha fatto gustare la bellezza della Parola di Dio. Oggi siamo tutti invitati a ricordare.

Ricordare, dal latino recŏrdari, deriva dal prefisso re-, e da cordis (letteralmente «riportare al cuore»), forse non è tanto un atto della mente, perché il cuore era ritenuto la sede della memoria. Quindi oggi non dobbiamo fare un gesto filosofico o intellettuale, ma nel ricordo siamo chiamati a far vibrare le corde del nostro cuore, la nostra più spontanea e bella umanità. Cosa dobbiamo portare al cuore, oggi? Perché questo ci porta a credere alla resurrezione?

Gesù parlò della sua sofferenza, della sua croce. Non negava l’esistenza del male, come facciamo spesso noi uomini per essere più affascinanti, e rispondiamo alla domanda “come va?” dicendo sempre “tutto bene!”, o come avviene in tanti spot televisivi luccicanti di bellezza. Gesù aveva detto “che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso” ma non solo. Nel suo annuncio di sofferenza c’era anche la speranza, quando diceva che bisognava che “risuscitasse il terzo giorno”. Quanto abbiamo da capire sul senso di questo verbo bellissimo, “bisogna”, ripetuto in tutti i vangeli e in tutti gli annunci della passione! Bisognava non perché ci fosse necessità di sacrificio, Dio non vuole sacrifici, ma bisognava piuttosto perché nel male ci siamo noi, e Dio viene a visitarci nella nostra libertà e nelle nostre fragilità. Lo fa sempre, dal fiume Giordano in cui si mette in silenzio in coda con i peccatori fino a quando, seduto per terra nel tempio, con il dito scrive per terra, sempre in silenzio, per non condannare la donna adultera.

“Ed esse si ricordarono delle sue parole”. Ognuno di noi oggi è chiamato a essere come queste donne, che vanno di buon mattino, che per amore preparano aromi, ma che si fanno raggiungere da una sorpresa, che vincono la paura, che si fidano di un annuncio dato da angeli. Quanti angeli incontriamo nella nostra vita! Oggi siamo invitati ad ascoltare parole di vita, a ricordare queste parole che ci rendono vivi. Solo così usciamo dall’anonimato, e infatti solo dopo questa azione di ricordo l’evangelista si preoccupa di dirci i nomi di queste donne, che “erano Maria di Màgdala, Giovanna e Maria di Giacomo”. Le donne hanno creduto che l’amore è più forte della morte!

Una notizia così bella, che riempie la vita, immaginate qualcuno che vi vuole bene, tanto bene, che vi comunica una bella notizia, un successo. Il cuore si riempie di gioia. Tanto più che il maestro, colui che in vita aveva dato dignità alla donna, che ha mostrato un volto di misericordia, che ha guarito infermi e che si è sempre schierato con i più poveri, che ha mantenuto la promessa del suo amore immenso! Una gioia incontenibile per queste donne, che “annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri”. Questo siamo chiamati a fare oggi, gioire e annunziare. Portare avanti questo passaparola che dura da duemila anni, in cui uomini e donne raccontano a uomini e donne questa notizia bellissima.

Sarà tutto rose e fiori? Assolutamente no. Quante volte, noi stessi, siamo come gli apostoli impauriti, per i quali “quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse”. A volte sembra che la gente stia delirando. Questa la sensazione degli apostoli, persone che lo avevano conosciuto in vita ed erano stati a stretto contatto con lui! Tanto più noi, che non lo abbiamo incontrato in carne ed ossa. Ma la fede nasce solo da un incontro, e negli Undici si insinua, insieme alla paura, un desiderio di vita, esattamente come già avvenuto alle donne dentro il sepolcro. Esattamente come avviene a noi, sempre.

E infatti avviene che “Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi vide solo le bende. E tornò a casa pieno di stupore per l’accaduto”. Anche Pietro si relaziona con un vuoto. Non vede nulla. Ma quel vuoto, quella kenosis, è una nuova creazione, è la dimostrazione più forte che Gesù potesse dare del suo amore. Dio, nella nostra vita, non ha bisogno di effetti speciali per dimostrarci il suo infinito amore, e il desiderio di vita che ha per noi. E tutto questo genera meraviglia, gioia, voglia di vivere.

San Francesco, nella stupenda parafrasi al Padre nostro, ci ricorda che: “Oh santissimo Padre nostro: creatore, redentore, consolatore e salvatore nostro. Che sei nei cieli: negli angeli e nei santi, illuminandoli alla conoscenza, perché tu, Signore, sei luce; infiammandoli all’amore, perché tu, Signore, sei amore; ponendo la tua dimora in loro, e riempiendoli di beatitudine, perché tu, Signore, sei il sommo bene, eterno, dal quale proviene ogni bene e senza il quale non esiste alcun bene” (FF 266). Ringraziamo il Signore per il dono immenso della sua morte e resurrezione per noi, e per averci insegnato a fidarci di noi. Preghiamo in questo giorno di festa affinché questa nuova creazione possa essere per noi un seme di gioia da portare nella vita di ogni giorno. 

Buona Pasqua del Signore
Laudato si’!