(Foto di Pavan Maruvada: https://www.pexels.com)

 

III domenica di Quaresima
Rubrica “Cammino Laudato Si’ – Vangelo della domenica”

 

Domenica 3 marzo
III DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO B
Gv 2, 13-25

 

Siamo alla terza domenica il cammino di Quaresima verso la Pasqua del Signore, salendo con Gesù verso Gerusalemme. Siamo alle prime battute del vangelo di Giovanni, poco prima c’è stato il primo miracolo di Gesù, a Cana, in cui il centro era qualcosa di apparentemente superfluo, una festa. Dopo il banchetto, Gesù torna prima a Cafarnao con la famiglia, e poi visita il tempio, casa sua.

Ci si aspetterebbe quindi un ingresso solenne, trionfante. Invece a casa sua Dio ci stupisce, mentre nel banchetto con gli uomini mostra amicizia e misericordia, nel tempio ha un comportamento decisamente duro. Sembra quasi parlare a ciascuno di noi, nella relazione tra il tempio costruito con mani d’uomo, il tempio della creazione di Dio, e i templi che costruiamo con le nostre proiezioni mentali, spesso abitati da un dio a nostra immagine e somiglianza.

“Si avvicinava la Pasqua dei Giudei”, per Giovanni i Giudei, Ἰουδαίων, non indica in generale il popolo di Israele, ma i capi del popolo, coloro che si opponevano ancora al riconoscimento del messia nella prima chiesa, composta appunto da giudei. In questa occasione salivano al tempio migliaia di persone, in alcuni anni partecipavano pure più di centomila persone, con immenso carico di agnelli da sacrificare, i tributi venivano pagati al tempio con monete “pure” che venivano usate al posto delle monete dell’Impero, che erano con effigi pagane. I cambiavalute, per questo, facevano affari d’oro in quei giorni.

Il tempio è un luogo che attrae non solo perché è una banca centrale dove si fanno affari, ma soprattutto per il significato che ha nella città, il luogo santo, separato, il punto di connessione con il divino, il fanum, il luogo puro. Ciò che sta davanti al fanum, il pro fanum, è qualcosa di impuro, appunto “profano”, e circonda con il resto della città l’edificio sacro. Ancora oggi, nelle nostre città, la chiesa o il duomo rappresentano luoghi centrali nell’urbanistica, sono gli spazi delle feste più importanti, dei raduni, delle solennità. Ma nelle nostre città il centro rischia di essere altro, dai centri commerciali agli impianti sportivi, in base ai veri valori che animano le nostre società.

Quindi l’individuazione del tempio è fondamentale. “Allora fece una frusta di cordicelle”, a questo elemento fisico e ben visibile nella città, con il suo brulicare di affari e di denaro, Gesù oppone un elemento ben visibile, un φραγέλλιον, letteralmente “flagello”, con il quale scaccia fuori pecore e buoi, ma non le colombe. Scelta non casuale, visto che le colombe erano dei poveri e rappresentavano un po’ il popolo dei giudei. Invece pecore e buoi erano strettamente legate al potere, ai capi del popolo, a cui Gesù ricorda: «Non fate della casa del Padre mio un mercato!», evidenziando che il Padre è “mio”, che lui è il figlio unigenito, e che il tempio è luogo di condivisione e non di supremazia.

“Perché mi divora lo zelo per la tua casa, gli insulti di chi ti insulta ricadono su di me” (Sal 69, 10), questi i versetti del Salmo che torna alla mente dei discepoli, dopo la resurrezione, al ricordo di questo strano gesto di Gesù. Quante volte ciò che compie il Signore nella nostra vita non è per nulla chiaro, ma poi quando lo vogliamo, se uniamo i puntini e abbiamo la grazia di fare memoria, tutto appare più chiaro! Certamente le parole di Gesù alla contestazione dei presenti erano molto esplicite, ma certamente enigmatiche a chi le ascoltava la prima volta: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere».

I Giudei, o meglio come detto i capi del popolo, chiedono quale autorità abbia Gesù per fare ciò. Loro sono l’autorità nel tempio, fanno tutto secondo le regole, e dettano le regole. Quindi chiedono a Gesù un segno, qualcosa che giustifichi la sua autorità. Ecco l’autorità di Gesù: Λύσατε τὸν ναὸν τοῦτον, “sciogliete questo santuario”. Sciogliere è un termine ambiguo, può significare “distruggere”, ma anche “liberare”. E non si parla più del tempio, ma del santuario, il cuore del tempio, il luogo inaccessibile. Di fatti, i capi del popolo stanno già distruggendo il fanum, riducendolo a un mercato. Gesù preannuncia che darà una parola diversa a questo destino di morte.

«Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». La domanda dei capi del popolo suona beffarda, e come dare loro torto? Il tempio di Erode, dentro il quale stavano parlando, iniziato decenni prima sulle rovine del tempio di Salomone e ancora con i lavori di abbellimento in corso, era evidentemente una di quelle opere infinite, come tante ne ha realizzate l’uomo nel corso dei secoli. Ma Gesù non parlava di un tempio di pietre, ma quel santuario prezioso è il suo corpo, Dio sta nel corpo, nel corpo mistico, Dio vive nei poveri, negli emarginati, nella sua creazione meravigliosa e sofferente, in quei luoghi in cui si può respirare il suo soffio primordiale e la sua giustizia.

Cercare questo tempio, anche nella nostra quotidianità, ci aiuta a capire la nostra scala di valori. Dove cerchiamo il tempio di Dio? Noi siamo troppo abituati a scartare, a fare a meno dei poveri, a non considerare la nostra casa comune che distruggiamo, e ci dimentichiamo che Gesù stesso è pietra scartata, divenuta pietra del basamento di questo santuario preziosissimo. Quando riscopriamo il senso profondo delle relazioni, la capacità di dono per l’altro – Gesù ribalta i banconi con le monete, può essere un monito rispetto alla nostra economia che distrugge – la capacità di perdono, in quelle occasioni “adoriamo Dio”, lo portiamo alla bocca, lo baciamo, lo mangiamo, ci nutriamo di lui.

Lo sguardo di Giovanni torna sui discepoli, che “si ricordarono che aveva detto questo”, nello stile classico dell’evangelista che torna e poi ritorna sui personaggi intervallando la narrazione, stile che gli è valso l’immagine simbolica dell’aquila, che per raggiungere la preda compie continui giri concentrici. Il brano di oggi si conclude con il tema della fede, in risposta alle azioni di Gesù. Da un lato i discepoli, che “credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù”, Scrittura e Parola come due parti complementari. Dall’altro lato i giudei, che “vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome”. Ma Gesù non esulta, non è interessato a questi successi, non si illude, conosce il cuore dell’uomo. Seguire Gesù, seriamente, non è uno scherzo, e il tema della fede va affrontato nel buio della nostra esistenza. Nel vangelo di domenica prossima si affronterà questo tema.

Adorare questo santuario preziosissimo, il corpo di Cristo, nello splendore della creazione, è ciò a cui ci invita Santa Chiara di Assisi: “Colloca i tuoi occhi davanti allo specchio dell’eternità, colloca la tua anima nello splendore della gloria, colloca il tuo cuore in Colui che è figura della divina sostanza, e trasformati interamente per mezzo della contemplazione, nell’immagine della divinità di Lui”. (FF 2888). 

Vi auguriamo di cuore buona domenica, in cammino verso la Pasqua del Signore, accompagnati dalla sua parola! 

Laudato si’!