Duccio di Boninsegna, Gesù Cristo ridona la vista al cieco nato, 1308, National Gallery, Londra

Domenica 19 marzo

IV DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO A

Gv 9,1-41

La quarta domenica di Quaresima, in laetare, anche nei colori liturgici che troveremo sull’altare ci invita a rallegrarci, a pregustare la gioia pasquale, pur dentro questo cammino di avvicinamento alla Pasqua del Signore. Siamo a metà di questo cammino, e oggi ci viene presentato un brano tipicamente “battesimale”, con una scena che può essere la metafora del cammino di fede di ciascuno di noi.

Apparentemente il centro del racconto è Gesù che compie un miracolo. Leggendo più attentamente il testo, si scopre che Gesù lascia al cieco la libertà di compiere il miracolo, e soprattutto il grande miracolo compiuto non è il riacquistare la vista, ma il processo razionale di fede che porta un uomo a credere in lui, a credere in chi ci vuole liberi. Assistiamo a una nuova creazione, attraverso sorella terra e lo sputo – acqua e fuoco dello Spirito – Gesù è come se plasmi di nuovo un Adamo pronto a contemplare il suo volto.

(Foto di Binyamin Mellish: https://www.pexels.com)

Siamo nel Capitolo 9 di Giovanni, nel tempio di Gerusalemme durante la festa delle capanne dove Gesù aveva parlato della vita, della morte, della paternità di Dio, rischiando di essere lapidato dai Giudei. Adesso, sempre nei paraggi del tempio, Gesù compie un’altra opera che ci rimanda alla vita, al “venire alla luce”. Infatti “Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita”, è sempre Dio che per primo vede l’uomo. Tutti noi, in fondo, siamo ciechi, non abbiamo percezione completa della realtà, non abbiamo ancora imparato a contemplare. Siamo circondati ogni istante, ogni giorno, dai colori, i profumi, l’equilibrio del creato, da relazioni umane che non comprendiamo, e quante volte il nostro sguardo è distratto!

Nella domanda dei discepoli “chi ha peccato?” c’è la domanda che sta nel cuore di ognuno di noi, il senso della sofferenza. Perché c’è il male nel mondo? Se lo è meritato? Dio lo ha castigato! La tradizione ebraica retribuzionista, che in parte noi ancora viviamo, dice che se sei benedetto da Dio le cose ti vanno bene nella vita. Con il rischio che, chi ruba, diventa ricco e beato. A questa tentazione di divorare il pianeta e i beni degli altri, Gesù risponde: “Né lui ha peccato né i suoi genitori”, il male non è essere poveri, ciechi, soffrire, ma il male è rubare, uccidere, far soffrire. E ogni sofferenza, se abitata da Cristo, può essere anche opportunità di beatitudine, in modo che “in lui siano manifestate le opere di Dio”. Bisogna che “noi” compiamo queste opere, che bello questo “noi” in cui Gesù ci rende partecipi di miracoli!

“Sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco”. Gesù compie tre azioni, non fa il miracolo: sputa, impasta e spalma fango. Di sua iniziativa, senza che nessuno glielo abbia chiesto. Una grande delicatezza che ha nei confronti del malato, lascia a lui la libertà di guarire. Ritorna la domanda di Eliseo a Naam il Siro, o quella che Gesù aveva fatto all’infermo della piscina di Betzatà: “Vuoi guarire?” Non è scontato che tutti desideriamo realmente guarire, spesso le nostre etichette e le nostre zone di comfort ci tranquillizzano. Gesù ci lascia la libertà di vedere la luce.

“Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva”. Questo, in estrema sintesi, il fatto che libera quest’uomo cieco dalla nascita. Le cose importanti della vita, quasi sempre, si racchiudono in pochissimi attimi e gesti. Tutto il resto serve a “vedere meglio”, a prendere coscienza. Anche gli ostacoli, anche le cattiverie e gli insulti, a cui risponderà l’ex cieco, lo aiutano nel suo processo di fede. La croce come opportunità di libertà!

Questo uomo, solo nel tempio, subisce un vero e proprio processo, che vede prima coinvolti “i vicini e quelli che lo avevano visto prima”, cioè la realtà di ogni giorno che ti mette un’etichetta; poi vede coinvolti i farisei, cioè coloro che vivono di pregiudizi e schemi rigidi, come l’osservanza del sabato; e infine i genitori, che per timore dei giudei non prendono neppure posizione. Questo uomo sperimenta l’umiliazione della solitudine, come premio per il miracolo ricevuto! In tutte e tre le situazioni, si limita semplicemente a ricordare i fatti: Gesù che sputa, impasta e spalma. Tutte le interpretazioni, i negazionismi già presenti nel vangelo, l’ortodossia delle procedure, le lascia agli interlocutori.

Merita una riflessione la parte finale del dibattito con i farisei. Spazientito, l’ex cieco fa una domanda ironica: “perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?”. L’ironia è l’arma dei deboli, spesso capace di dire ai potenti la verità in maniera schiacciante. Qui i potenti, che mettono timore pure ai genitori, rispondono con insulti e violenza, dicendo “Sappiamo… Sappiamo”. Il debole, nella verità, dice “Non so chi sia”. Ecco l’abisso che c’è tra il male, e chi compie il male. Il povero, ricco di coraggio, esclama: “Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta”, una definizione teologicamente perfetta, vera. Talmente vera che il suo epilogo è l’espulsione dal tempio, il gesto più umiliante che un giudeo potesse ricevere a Gerusalemme. Tanto più con l’accusa di essere “tutto nei peccati” che Gesù aveva smentito poco prima.

(Foto di Kaique Rocha: https://www.pexels.com)

Questa espulsione è una sorta di rinascita, in fondo la vita “viene alla luce” quando espulsa dal grembo della madre. Fino a questo momento il povero non ha fatto altro che raccontare l’evidenza dei fatti, e dai contrasti ha preso coscienza pian piano della realtà, della sua sete di fede, della prepotenza e della paura intorno al tempio. Ma quando si trova completamente solo, incontra Gesù, che si svela con una domanda: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Al desiderio del povero, come al desiderio di ciascuno di noi, il Cristo risponde: «Lo hai visto: è colui che parla con te».

La preghiera che vorrei consegnare per questa domenica è che il Signore ci conceda la grazia di questo desiderio del cieco nato. Questo desiderio nella fragilità espresso da Santa Chiara di Assisi che dice: “Il beato Francesco poi, costatando che, nonostante la debolezza e fragilità del nostro corpo, non avevamo indietreggiato davanti a nessuna penuria, povertà, fatica e tribolazione, né ignominia o disprezzo del mondo, che, anzi sull’esempio dei santi e dei suoi frati, tutto ciò stimavano sommo diletto, molto se ne rallegrò dal Signore” (FF 2832). Ringraziamo il Signore per il dono della luce, che dobbiamo imparare a contemplare in questo cammino quaresimale. Preghiamo affinché questo tempo di conversione ci offra occhi capaci di gustare la bellezza di Dio.

Vi auguriamo di cuore una buona domenica.

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