Michelangelo Merisi da Caravaggio, Resurrezione di Lazzaro, 1609, Museo Regionale, Messina

Domenica 26 marzo

V DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO A

Gv 11,1-45

Prosegue il cammino verso la Pasqua del Signore. La quinta domenica di Quaresima ci offre un’anticipazione del tema centrale della Pasqua: la resurrezione. Siamo nel cuore del vangelo di Giovanni, nell’episodio che segna definitivamente una svolta negli eventi di Gesù: questo miracolo, di fatto, è veramente “per la gloria di Dio”, nel senso che lo porterà a essere glorificato dall’alto del legno della croce.

A una lettura più attenta, vedremo che il destinatario del miracolo non è Lazzaro, che pure esce dal sepolcro, ma sarà comunque destinato a ritornarvi. Il ventre della mamma terra che accoglie il suo corpo lo riprenderà dopo qualche mese o qualche anno, fa poca differenza. I destinatari di questo miracolo possiamo essere noi, se scegliamo di comportarci come determinati personaggi del racconto di oggi. Un brano stupendo, molto dinamico, in cui tutti escono, da Gesù che esce dalla Galilea a Marta che esce di casa, da Maria che viene incontro correndo a Lazzaro che esce dal sepolcro, dai Giudei che escono dalla città. Tutto in movimento, segno della vita che risponde alla tentazione della morte.

Giotto, Resurrezione di Lazzaro, 1303, Cappella degli Scrovegni, Padova

«Signore, ecco, colui che tu ami è malato». Il brano si apre con un’espressione ripetuta di malattia. Una condizione che accomuna tutti noi, tutto il creato in fondo è malato, e chi di noi non leva verso il cielo una preghiera, simile a quella delle due sorelle per il fratello malato? Ma in questa preghiera c’è già qualcosa di più: c’è una relazione di amicizia, colui che tu ami, un’espressione che non offre tante scelte a Gesù, chiaramente coinvolto. Dove c’è amicizia, non può esserci morte.

Noi cerchiamo sempre un senso alla sofferenza. Come già detto domenica scorsa di fronte al cieco, anche in questo caso Gesù ci offre una chiave di lettura insolita: “Questa malattia non porterà alla morte”. Quanto bisogno abbiamo di questa parola! Tutto il blocco centrale del brano di oggi ruota sul tema della morte, e sulla contraddizione tra il sonno e a morte stessa. “Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là” suona quasi ironico, come se l’affetto di Gesù non avrebbe neppure consentito questa morte, e non avrebbe potuto compiere un miracolo più grande. Ma qual è il miracolo grande?

E qui entrano in scena Marta e Maria, descritte al centro delle consolazioni dei Giudei. Un gesto sincero di vicinanza e amicizia, nel momento del dolore. Una scena incredibilmente umana. A rendere questa scena inusuale, a consegnarci l’insegnamento di oggi, ci pensa Gesù. Non appena Marta sa della presenza del maestro, lascia tutti e “come udì che veniva Gesù, gli andò incontro”. Ecco il primo insegnamento: ascoltare e uscire. L’ascolto di Dio, già solo della sua presenza silenziosa, anche nel pieno del dolore rappresenta una scintilla di vita. Molto più delle commiserazioni di circostanza dei vicini.

Oltre al silenzio, Gesù offre una parola di grande forza a Marta: “Io sono la risurrezione e la vita”, ben oltre le singole morti quotidiane. Il grande miracolo compiuto da Gesù è con Marta, riesce a darle una consolazione che risponde alle sue domande più profonde, anche al senso stesso della morte e del suo dolore. E infatti, corre a chiamare la sorella. Non perché abbia ricevuto la promessa di un miracolo al fratello, nessuno parla di lui in fondo.

“Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui”: stessa dinamica per Maria, prima un ascolto, e poi una resurrezione, il verbo alzarsi coincide con il verbo risorgere. Il grande miracolo che suscita Maria, con la sua fede, è di vedere Gesù che “si commosse profondamente”. Maria viene raggiunta dalle lacrime di Dio, dalla sua amicizia, dalla sua compassione. Tutta questa parte del brano è solcata da immagini di lacrime, di persone che piangono, dai giudei, a Maria, a Gesù.

Il terzo miracolo di resurrezione, dopo quello operato verso Marta e verso Maria, è infine indirizzato guardando al sepolcro, alla grotta in cui è adagiato il corpo del fratello. Lo vedremo anche la domenica di Pasqua, il sepolcro, in greco μνημεῖον (= mneméion), nel suo termine ha una radice comune con memoria (μνημεῖον) e con morte e le Moire (Μοῖραι), è il segno concreto della coscienza di morte che accompagna la vita degli uomini. Attraverso il sepolcro, gli uomini fanno memoria del destino che accomuna tutti gli umani, cioè gli “humandi” che sono destinati a tornare all’humus, alla terra. Memoria delle origini, siamo tutti fatti di terra, e alla terra destinati a tornare. Una pietra, in ogni sepolcro, separa quindi coloro che sono già morti da coloro che non sono ancora morti. Tutta la nostra cultura può essere basata sulla paura della morte, oppure sul desiderio di vita che abita in Marta e in Maria.

Vincent Van Gogh, La resurrezione di Lazzaro (da Rembrandt), 1890, Van Gogh Museum, Amsterdam

“Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi” mentre tutti rimangono a guardare la pietra, elemento che separa i vivi dai morti, per fortuna che Gesù guarda altrove. Sembra quasi indicarci una nuova direzione, verso il cielo. La prima cosa che fa è ringraziare il Padre, anche questo grande insegnamento per noi che siamo ingrati sempre. E poi, una parola di liberazione, che è molto più che donare la vita di nuovo: «Liberàtelo e lasciàtelo andare» sembra una frase rivolta a ciascuno di noi.

Preghiamo affinché il Signore ci conceda la grazia di questo desiderio di vita. Questo desiderio espresso da San Francesco di Assisi che canta: “Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare: guai a quelli che morrano ne le peccata mortali; beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male.” (FF 263). Ringraziamo il Signore per il dono della vita, che dobbiamo imparare a contemplare in questo cammino quaresimale. Preghiamo affinché questo tempo di conversione ci offra occhi capaci di gustare la bellezza di Dio.

Vi auguriamo di cuore una buona domenica.

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