Domenica 13 febbraio
VI Domenica del tempo ordinario – Anno C
Lc 6,17.20-26

Prosegue il cammino sui passi del vangelo, che questa domenica è ambientato nello stupendo scenario della valle. Il creato assume sempre un significato importante, soprattutto con questa parola di oggi che rappresenta forse il manifesto ufficiale dell’insegnamento di Gesù. Chi dobbiamo invidiare nel mondo? Quali sono i nostri modelli da imitare? Chi è veramente fortunato?

Dopo aver indicato i dodici, dopo averli scelti, nonostante tutti i loro difetti, che sono in fondo anche i nostri, con gli stessi dodici Gesù discende dal monte in un luogo pianeggiante. Ecco il creato con tutti i suoi significati che fa da contesto ed è anche protagonista della vicenda di Cristo. Sta in un luogo piano, ci viene incontro, verso di noi che non possiamo salire il monte. Da tutte le parti accorrono, attorno ai dodici accorrono tutti i popoli. Questa la bellezza della chiesa, fatta di biodiversità di carismi, luogo del limite condiviso. Gesù sceglie tutti, ciascuno con i propri difetti. Si viene da ogni parte per ascoltare ed essere guariti. Abbiamo già detto che tutta la prima parte del Vangelo di Luca è una “logoterapia”, la guarigione attraverso la parola, vera grande protagonista del racconto di Luca.

La parola proclamata “oggi” nella sinagoga di Nazareth, la parola che guarisce gli uomini fino alla guarigione della mano, e raduna le folle. Quali sono queste parole che guariscono? Le parole proclamate oggi in paesaggio pianeggiante sono forse le parole più belle di tutta la Bibbia, forse le più belle mai scritte dall’uomo, perché dentro c’è tutto il desiderio dell’essere umano. Tutto ciò che è bello, buono e attraente, ma senza la menzogna del peccato e delle sue illusioni. Gesù ci indica una dolce strada che, se percorsa da tutti noi, potrebbe solo portarci all’anno di grazia proclamato dal Signore, essere fratelli tutti e in comunione con tutto il creato! Queste parole, nella chiesa primitiva, rappresentavano la catechesi battesimale, si conosceva il messaggio cristiano a partire da queste parole.

Dalla guarigione della mano, Gesù forma la sua prima chiesa, e proclama questa parola. La chiesa è un po’ quella mano guarita, che adesso può accogliere, toccare, questa parola. È bello vedere, nel vangelo di Luca, come questi eventi sono tutti raccontati in continuità, quasi come se la narrazione voglia proprio dirci come tutto è connesso. Siamo come un affresco bellissimo, ma incrostati da tante mani di vernice e fumo di candele, e questa parola non fa altro che farci percepire nella nostra profondità, nella nostra bellezza, nel nostro essere creature.

“Ed egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva…” Gesù parla dal basso, a differenza nostra che vogliamo sempre dominare. Dio è umile, si fa battezzare in silenzio, ha una grande stima per noi, ha dato la vita per noi. È venuto per servire, non per essere servito. Gesù scende a valle. Il verbo all’imperfetto, “diceva”, ci fa capire che le ripeteva spesso. Forse gli apostoli non lo capivano, come del resto noi, che continuiamo a non capire.

“Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio”. Esordisce con “beati”, cioè “complimenti”! Ne ribalta il senso comune: per noi, i complimenti si fanno a chi è fortunato nella vita, a chi ha potere, riconoscimento. A questi diciamo “Laudato si”. Gesù rivolge il suo personale “laudato si” ai poveri, ai pitocos: sono quei poveri che vivono di elemosina, invisibili, che hanno bisogno di tutto. Non sono beati perché poveri, perché disperati, ma perché “vostro è il regno di Dio”. Si rivolge direttamente a loro, e dice che il regno è adesso per loro. Oggi, non in un futuro indefinito. Il regno di Dio è del povero, il regno è Dio che regna, servendo. L’amore è povertà perché tutto riceve e tutto dona nella gratuità. Questo amore regna in maniera privilegiata, nella sua povertà dando tutto sé stesso, tutto nella gratuità. Pensiamo al dono immenso dell’aria che respiriamo, dono che Dio ci offre ogni istante nella completa gratuità, nella povertà. Pensate a “possedere” quel dono, cosa significherebbe: sarebbe l’uccisione del dono, la negazione dell’amore. Francesco di Assisi non chiedeva ai frati, nella regola non bollata, il voto di povertà, ma chiedeva di “non avere nulla di proprio”. Il possesso è l’opposto dell’amore.

“Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati”. Il linguaggio è sempre strano: come fanno a essere beati gli affamati? La beatitudine sta nella sazietà futura. Siamo sempre preoccupati di avere fame, di essere uccisi, umiliati. Il male, però, è essere già sazi, affamate gli altri, uccidere, umiliare gli altri. Il futuro contraddice il presente, chi oggi ha fame sarà saziato. Nessun cibo ci sazia, adesso, nonostante la nostra ricchezza, nonostante l’ingiustizia dei paesi ricchi che divorano il pianeta. E tutto ciò non ci basta. Queste parole ci svelano l’azione di Dio nella storia, come compreso da Maria nel Magnificat.

“Beati voi, che ora piangete, perché riderete”. Il grido e il pianto della terra e dei poveri, svela già oggi il futuro “risum pasqualis”, il ridere definitivo. Come nella povertà e nella fame, anche nel pianto Gesù individua i sentimenti essenziali dell’uomo.

“Beati voi, quando gli uomini vi odieranno”… Ecco le azioni degli uomini, odio, mettere al bando, l’insulto, il disprezzo. Qui Gesù sembra tracciare, nelle beatitudini, il suo autoritratto, con gli elementi peculiari della sua vita, così come narrata nel racconto di Luca. Infatti Gesù nasce povero, migrante e rifiutato, affamato nel deserto dove viene tentato, piange diverse volte, su Gerusalemme e davanti al dolore dei suoi amici, viene odiato dai potenti e dai farisei, messo al bando dal tempio di Gerusalemme, insultato nel sinedrio, disprezzato sulla via del Calvario. Sembra quasi dirci, in anteprima, che tutto quello che il mondo ci vuole far credere, non sia la fine della storia, ma in lui c’è una sorpresa, ci sono quei verbi al futuro: ci sarà la sazietà, il riso, l’accoglienza.

In quel giorno in cui avvengono queste cose, saltate di gioia! La nostra ricompensa è immensa nei cieli. La ricompensa è essere come Gesù, essere figli! Dopo le beatitudini, non ci sono le “maledizioni”, ma più gli ammonimenti. “Ma guai a voi!” dice Gesù per mettere in guardia. La seconda parte del testo si apre con un “ma” che ci fa capire che ciò che segue si contrappone alla prima parte. Cosa vuol dire quindi questo “guai”? L’opposto di “beati”, cioè di “mi congratulo”, di “laudato si” è “guai”, cioè “mi dispiace per te”, di “condoglianze”.

Ai poveri con cui si congratula, Gesù oppone i ricchi, di cui si dispiace, perché hanno già la loro consolazione, si accontentano del poco. Il “consolatore” per eccellenza, il Paraclito, è lo Spirito Santo, è la compagnia per eccellenza, Dio con noi, l’Emmanuele. Se invece ci accontentiamo di essere consolati dai soli beni materiali, siamo destinati a rimanere tristi. Anche qui, come per la povertà, al centro c’è sempre il sentimento che accompagna il possesso delle cose, non tanto in sé la condizione di ricchezza. Quando una ricchezza diventa condivisione, in quel caso può risiedere la vera gioia che viene dal Paraclito.

“Guai a voi che siete sazi”, che siete “pieni”, perché non potete più cibarvi perché non c’è spazio, non potete più gioire della tavola, del banchetto. “Guai a voi che ora ridete”, quasi a Gesù dispiace quando abbonda un riso sterile, quando non c’è possibilità di innescare una nuova scintilla, una gioia inaspettata. Quasi dispiace vedere tutto ciò che invece il mondo ci fa illudere essere il sogno di tutti noi: essere ricchi, sazi, ridere, divertirsi, essere riconosciuti, avere potere. Dispiace quando tutto diventa possesso, e non è dono.

Queste sono parole che ci guariscono, guariscono le folle che accorrono, risollevano l’uomo alla sua vera dignità, alla sua vera gioia. Quella gioia che non verrà mai tolta. La chiesa, la nostra missione, dovrebbe essere nutrita da questa parola, non a caso Gesù la pronuncia in pianura subito dopo aver scelto i dodici. Come dice Santa Chiara di Assisi: “Certamente voi sapete che il regno dei cieli il Signore lo promette e dona solo ai poveri, perché quando si amano le cose temporali, si perde il frutto della carità; e che non è possibile servire a Dio e a mammona, perché o si ama l’uno e si ha in odio l’altro, o si serve il secondo e si disprezza il primo” (FF 2867).

Ringraziamo sempre il Signore per il dono della parola che salva, oggi, facendoci comprendere chi di noi è beato per Dio, e chi provoca a lui dispiacere. Preghiamo affinché impariamo ad ascoltare questa parola che guarisce e sazia, della quale tutte le folle di ogni tempo hanno grande fame. Vi auguriamo di cuore una buona domenica.

Laudato si’!