II domenica del Tempo Ordinario
Rubrica “Cammino Laudato Si’ – Vangelo della domenica”

 

Domenica 14 gennaio
II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO B
Gv 1, 35-42

 

Prosegue il cammino del tempo ordinario, la vita di tutti i giorni. Il racconto di questa domenica ci descrive l’incontro dei primi discepoli con Gesù, un incontro talmente importante da rimanere impresso nella memoria con l’orario esatto, le quattro del pomeriggio.

Tutta la nostra vita è fatta di incontri, di sguardi, di parole, ma molti di questi passano senza che neppure ce ne rendiamo conto. Alcuni meritano di essere ricordati, e di cambiare il corso delle nostre storie di vita. Quante volte rischiamo, nella massa di incontri e attività, di lasciarci sfuggire quelli veramente importanti. Il vangelo di oggi ci può aiutare a non fare questo errore.

“In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli”, la scena di oggi si apre di nuovo con Giovanni il Battista, siamo al Τῇ ἐπαύριον al giorno dopo la testimonianza dell’incontro, il giorno della condivisione con gli altri. Tutto l’inizio del vangelo di Giovanni è scandito da una serie di giorni, fino ad arrivare al sesto giorno con le nozze di Cana. In questa settimana simbolica, oggi siamo al terzo giorno, a ricordarci quasi che la nostra missione è scandita da alcune tappe, dall’attesa all’incontro, dalla testimonianza alla condivisione con gli altri.

Come avviene la condivisione? Questo brano ci può illuminare in questo, perché scandito da brevissimi dialoghi e da alcune parole chiave che esprimono l’atteggiamento di Giovanni e dei primi discepoli, da cui ancora oggi siamo chiamati ad imparare. Mentre sta con loro due, Giovanni fa due cose: “fissa lo sguardo” e “dice”. Guardare e parlare. Non è un vedere distratto, ma uno sguardo attento e preciso su un uomo che passa. Quante volte Dio passa davanti a noi, e non riusciamo neppure a guardare, a fare il passo iniziale. Subito collegato a questo, Giovanni parla. La parola, che per noi è anche mezzo di creazione, getta una luce per i discepoli che ascoltano. Giovanni indica chi è l’agnello di Dio, colui che porta via il peccato dell’uomo, che lo libera.

Seguono due azioni dei discepoli: “ascoltarono” e “seguirono”. Ascoltare, che è più di sentire, esprime come quelle parole siano poi realizzate, messe in pratica, con attenzione. E infatti generano subito una conseguenza, quante parole sentiamo ma poi ci lasciano come prima! Queste parole di Giovanni, invece, cambiano la vita dei due discepoli. Che infatti scelgono di seguire Gesù, camminano dietro. 

Gesù, invece che essere felice che due iniziano a camminare dietro a lui, invece di inorgoglirsi, ci spiazza e chiede: «Che cosa cercate?», le prime parole pronunciate da Gesù nel quarto vangelo. Che cosa cerchiamo dalla vita? Non è sufficiente quindi ascoltare, essere bravi studenti, o anche fidarci dei nostri maestri e cominciare a camminare. C’è un momento in cui dobbiamo avere consapevolezza di cosa cerchiamo. La nostra infelicità sta nella distanza tra ciò che cerchiamo e ciò che facciamo, spesso neppure ci domandiamo più cosa cerchiamo! E’ bello vedere come tutto il vangelo di Giovanni passa dalla prima domanda – “cosa cercate?” – all’ultima domanda posta alla Maddalena – “chi cerchi?” (Gv 20, 15), si passa dal cercare qualcosa al cercare qualcuno.

A questa domanda, i discepoli rispondono con un’altra domanda. Un dialogo strano. Si risponde con un’altra domanda quando non si conosce la risposta. E la domanda è profonda: “dove abiti?”, cioè “chi sei?”. La nostra dimora indica la nostra famiglia, il nostro spazio nella città, il nostro livello sociale. Dove abita “la parola”? Che luogo le diamo? Gesù è il logos, la parola che crea tutto. Per dire chi è, dove abita, la parola non usa parole, non prova a dare definizioni di sé. Invece propone due azioni precise: Ἔρχεσθε καὶ ⸂ὄψεσθε, “Venite e vedrete”. Anzitutto muoversi, camminare, venire, spostarsi, cambiare spazio e prospettiva. E poi, imparando dal Battista, vedere con sguardo attento. La parola non va solo letta, ma va “camminata” e va “osservata”.

A questo invito di Gesù, i due discepoli rispondono pienamente, e infatti compiono tre azioni: vanno, vedono e dimorano. Questa è la pienezza della parola con noi, quando ci stimola a camminare, a spostarci dalle nostre false certezze, quando si fa vedere, scrutare, contemplare, e quando alla fine ci porta a dimorare in lei. Perché la casa, e ancor di più la nostra casa comune, esprime il nostro collocamento nella società, nella città, nella creazione intera. E la casa abitata dalla parola di Dio, è certamente una casa di lusso.

ὥρα ἦν ὡς δεκάτη. L’ora decima, tradotta con l’espressione “erano circa le quattro del pomeriggio”, indica il momento in cui si smetteva di lavorare nei campi. L’ora del riposo dalla fatica del giorno. Questa ora rimane impressa nella memoria dei discepoli, perché quel giorno fu per loro di grande lavoro, di grande ricerca, di grande movimento rispetto alle certezze di una vita. Il momento del dimorare è un momento piacevolissimo, di grande relax. Ognuno di noi ha un’ora decima da ricordare e da raccontare.

E’ molto bello come, in quest’ora decima, questi imprecisati “due discepoli” prendono finalmente un nome, scopriamo le identità di Andrea e di Simone. Andrea definito perché fratello di qualcuno, e quel qualcuno definito da Gesù dopo uno sguardo fisso su di lui. Anche Simone, da Gesù, viene prima definito perché figlio di qualcuno, ma immediatamente quello sguardo cambia il nome. Abbiamo un nome che non ci siamo scelti, un nome con il quale tutti ci chiamano. Ma poi, le ci lasciamo abitare dalla parola di Dio, troveremo un nome che meglio ci identifica, e ci fa capire meglio cosa cerchiamo nella vita. Nel caso di Simone, il nome in fondo al cuore è כיפא, è pietra, roccia. Nome ambiguo, può essere un complimento – stabilità, fortezza – oppure un’offesa – essere una testa di pietra, non capire nulla. Sta a noi vivere il nostro nome nella sua accezione positiva, più aderente al vangelo di Cristo.

Da questo incontro scaturisce, come una cascata, tutto l’annuncio evangelico, con lo stesso passaparola di Andrea e Simone, e poi di Filippo e Natanaele, e via via fino a oggi quando questo passaparola giunge fino a noi. Una parola che, sempre nello stesso modo, viene osservata da un testimone che indica, giunge a un nuovo orecchio che valuta, si accerta e quando trova dimora e nutrimento, condivide con un’altra persona.

La nostra risposta alla chiamata di Dio sia per noi sempre ispirata come ci suggerisce San Francesco di Assisi, che diceva: “Poiché sono servo di tutti, sono tenuto a servire a tutti e ad amministrare a tutti le fragranti parole del mio Signore. Per cui, […] ho proposto di riferire a voi le parole del Signore nostro Gesù Cristo, che è il Verbo del Padre, e le parole dello Spirito Santo, che sono spirito e vita” (FF 180).

Vi auguriamo di cuore una buona domenica! 

Laudato si’!