(Crocifissione, Giotto e collaboratori,1308-1310 basilica inferiore di Assisi)

 

Venerdì 29 marzo
VENERDÌ SANTO – ANNO B
Mc 15, 21-47

 

Siamo nel culmine della storia di salvezza, con la liturgia del triduo pasquale. Vi invitiamo a dedicare il tempo per approfondire e pregare su questi versetti della Parola. La lettura dei brani di Marco di questi giorni solenni è focalizzata sulla collocazione dei fatti, immersi nel creato. Un orto, un monte e un giardino. Oggi ci troviamo nel monte di Golgota, luogo di tortura e di morte. Ci troviamo davanti al racconto più importante di tutto il vangelo. Qui, oggi, in questo monte fuori Gerusalemme, abbiamo l’opportunità di incontrare il volto di Dio. Ieri, nell’orto, Gesù ci ha insegnato come pregare. Oggi ci insegna come vivere.

Per questo “raccontare” oggi è impresa impossibile, suggeriremo solo alcuni spunti, con l’invito a tutti voi di rallentare, quasi di frenare oggi e soffermare la sguardo su ogni singolo versetto. Ogni passaggio meriterebbe un giorno, una settimana di meditazione silenziosa. In ogni versetto, qui, troviamo spiegazione di tutta la Scrittura, dei profeti, della legge, delle lettere di Paolo, dell’apocalisse, la patristica, la teologia medievale, il magistero della chiesa, la Laudato Si’. Qui incontriamo il creato che ci parla di questa morte, il cielo che si oscura, il velo del tempio – fatto di mani d’uomo – che si squarcia. Sta a noi scegliere di fissare il nostro sguardo sulla gloria di Dio, che si manifesta oggi in questo corpo lacerato che pende dalla croce, come fa il centurione, ed essere salvati; oppure fare come i sommi sacerdoti, i farisei, i malfattori coricifissi con lui e la folla, che se ne prendono beffe, ma che sono comunque salvati per la misericordia di Dio.

“Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene”, la scena si apre con un immigrato, un “povero cristo” che tornava dai campi, proveniente dalla Libia, dall’Africa. Chi porta le croci, o aiuta a portarle, non è mai un ricco o un potente, ma sempre chi viene visto con uno sguardo di inferiorità. E questo uomo, suo malgrado, si rende tra i protagonisti della scena. Non è Simone, il discepolo su cui fonderà la chiesa, ma un altro Simone. Un discepolo involontario, ma che si metterà al seguito dei cristiani, infatti citato nella lettera ai Romani con i figli e la moglie Evodia, e citato nel Vangelo di Marco come padre di Alessandro e Rufo.

Quasi sempre, nella sofferenza, noi cerchiamo anestetici, “gli davano vino mescolato con mirra”, ma lui non ne vuole. La scena della spogliazione, sempre straziante e umiliante, quando “si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse”. La maestà di Dio nel non possedere nulla di proprio. “Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra”. La croce è l’albero che svetta su questo monte, ci ricorda l’albero della vita rifiutato da Adamo, il cui teschio viene rappresentato spesso ai piedi della croce. Gesù sale su questo albero di morte per irrigare con il suo sangue questo teschio, che in fondo è la morte di ognuno di noi, per donare vita. Il suo sangue irriga il suolo come il sangue di tanti eco-martiri che hanno lottato per la giustizia sociale e ambientale. Il sangue dei martiri è seme di cristiani, come dice Tertulliano. E in quel momento di gloria di Cristo, sono presenti due delinquenti nei posti ansiosamente desiderati da Giacomo e Giovanni, che volevano stare appunto “uno a destra e l’altro a sinistra”. Quanto dobbiamo imparare a pregare! Gesù in mezzo, tra le nostre miserie, in solidarietà a tutta l’umanità rappresentata a destra e a sinistra: chi è malfattore, e chi è convinto di non esserlo. 

Quanto abbiamo, noi cristiani e cittadini del mondo, da imparare da questa immagine profetica! Quando comprendiamo che la vera politica non è occupare posizioni di potere da difendere con le crociate e con i partiti, ma mettere al primo posto l’ultimo degli ultimi, ascoltare veramente il grido del povero e della terra, allora veramente possiamo sperare in un mondo migliore. Quanto è importante che i cristiani si impegnino per una politica profetica! Se il nostro re è Gesù crocifisso, allora veramente c’è speranza. E’ una speranza certa, perché insieme a un mondo fatto da una minoranza di re che alimentano guerre, soprusi, corruzione, nella storia l’uomo ha conosciuto i diritti umani, la solidarietà, l’ecologia integrale, costruita da tantissimi re che scelgono, in silenzio e ogni giorno, di mettersi al servizio degli altri.

“Quelli che passavano di là” insieme ai “capi dei sacerdoti, con gli scribi” e per giunta “anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano”. Un coro unanime di critiche e insulti, a questo Dio che mostra la sua maestà dal legno della croce. E quanto è attuale questa parola, quante critiche a questo Dio che accetta la sofferenza, che si fa carico delle nostre croci?

“Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio”. Il creato ci parla. Ogni giorno. Ma oggi tutto assume un significato particolare, ci troviamo in una notte che inizia nell’orto del frantoio di Gerusalemme, che è stata scandita dai processi e dagli oltraggi, dalla confusione della via, dal monte del Cranio. Apparentemente siamo nell’ora sesta, l’ora in cui il sole si trova nel punto più alto, l’ora di maggiore luce, ma anche l’ora della disubbidienza di Adamo ed Eva. Il peccato come momento in cui la creazione si stacca dal Creatore, e infatti Adamo ed Eva si nascondono. La tenebra si nasconde alla luce più forte. Sul monte di Golgota avviene la fine del mondo. Finisce il mondo del peccato. Non dobbiamo attendere un’altra fine del mondo, nei Vangeli è già descritta qui, con questa eclissi.

“Eloì, Eloì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. A queste ultime parole, non comprese da noi uomini, segue “Gesù”, che “dando un forte grido, spirò”. Non dedichiamo un minuto di silenzio, vi invitiamo a dedicare oggi, mentre leggete questa riflessione, dieci minuti di silenzio. Un’ora di silenzio, contemplando questa theoria, questo “spettacolo”, con il tempo che merita.

Dedichiamo il silenzio davanti a questa immagine.

(Diego Velázquez, Cristo in croce, 1631, Madrid, Museo del Prado)

Emise lo spirito. Pure Dio è spirato. La vita è inspirare e espirare. Avere il terrore della morte equivale a essere insaziabili, spesso noi vogliamo solo inspirare anche al punto di scoppiare. Teniamo per noi le risorse del pianeta, le relazioni, il benessere, la nostra stessa vita, nel terrore di perdere. Dio, che ha creato tutto con una azione di kenosis, spogliandosi della sua infinità per lasciare spazio alle cose finite, adesso nella spogliazione della croce ci dona una nuova creazione. Una nuova nascita. Senza veli, Dio si rivela a noi. Spirando.

Il brano si chiude, specularmente a come si è aperto, con le categorie che assistevano a questo spettacolo: il potere, simboleggiato dal centurione, e le folle, cioè il popolo. Nel racconto scompaiono i religiosi dell’epoca, la loro presenza si è persa dentro gli eventi di questa nuova creazione. Inizia un nuovo mondo, una nuova creazione, “Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo”. Si squarcia il velo che nascondeva il Santo dei Santi, Dio “si svela”, mostra il suo volto. Si rompono le acque, è un parto doloroso, nel vangelo di Matteo si evidenzia pure che si squarcia la mamma terra con terremoti, nasce il Figlio, che “gridando a gran voce, disse: “Padre”. Una nascita nel dolore e nel peccato del mondo. Siamo convinti, con le nostre categorie mentali, che assistiamo a una scena di morte, è invece si tratta di una nascita.

“Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”. Una frase che nasce dall’osservazione e dalla contemplazione di questa croce. Lo dice lui, che di mestiere esercitava il potere e la morte. Siamo noi gli aguzzini di Dio, e nonostante tutto siamo noi che possiamo riconoscerlo nel volto di chi soffre. 

San Francesco, nella stupenda parafrasi al Padre nostro, ci ricorda che: “E non ci indurre in tentazione: nascosta o manifesta, improvvisa o insistente. Ma liberaci dal male: passato, presente e futuro.” (FF 274). Ringraziamo il Signore per il dono immenso della sua vita per noi, e per averci insegnato che una via alternativa al male si può percorrere. Preghiamo in questo giorno di silenzio affinché questa nuova creazione possa essere per noi un seme di conversione. 

Laudato si’!