(Simone Martini, Ritorno di Gesù dal Tempio, 1342, Walker Art Gallery, Liverpool)

Domenica 29 dicembre 2024

DOMENICA SANTA FAMIGLIA DI GESU’ – ANNO C

Commento al Vangelo della domenica

Lc 2, 41-52

Eccoci subito dopo aver contemplato la bellezza della grotta di Betlemme. Solo pochi giorni fa abbiamo potuto gustare il senso dell’incarnazione di Dio, e in questa domenica nell’Ottava di Natale ci troviamo di fronte a una famiglia. In fondo, questo brano è la storia di ogni famiglia. Questo brano a chiusura del secondo capitolo del vangelo di Luca, è come se ci volesse anticipare il tema e il messaggio di tutto il vangelo. Infatti, mentre nella parte precedente Luca ha mostrato il compimento delle Scritture dell’Antico Testamento, e l’azione di Dio attraverso il bambino che trova il suo culmine tra le braccia di Simeone, adesso viene mostrato questo viaggio verso Gerusalemme. Per tre giorni non verrà trovato. I suoi lo cercheranno angosciati. Le prime parole di Gesù sono una domanda, così come avverrà al sepolcro. Parte da Nazareth, e torna a Nazareth. C’è una sapienza nella vita di ogni giorno. Tutto il vangelo di Luca è un viaggio verso Gerusalemme. Le nostre famiglie sono in viaggio verso Gerusalemme. Tutta la creazione di Dio è in viaggio verso Gerusalemme.

E’ molto bello e consolatorio per tutti noi, in questo brano, come la sapienza e l’intelligenza del giovane Gesù crescano a Nazareth, nella vita quotidiana. La routine di ogni giorno aiuta a far crescere la sapienza e l’intelligenza, che consentono a Gesù di rispondere ai dotti nel tempio. La nostra fede non cresce in luoghi privilegiati, in mete di pellegrinaggio, ma nel luogo in cui Dio ha voluto la nostra esistenza. Senza cercare forme di evasione. Il vero viaggio è interiore.

Il brano di questa domenica è introdotto, nel vangelo di Luca, da due versetti in cui si dice che “fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui”. Questa premessa è importante, perché ci offre la cornice per comprendere bene il senso del viaggio. La crescita, la forza, la sapienza e la grazia, si sviluppano nella vita di ogni giorno, nella propria casa. Altro che vita nascosta! A Nazareth c’è la pienezza. A Nazareth, Dio ha imparato a essere uomo, ha imparato a parlare, a relazionarsi, a lavorare, a ridere, a piangere.

“Quando egli ebbe dodici anni” i genitori si recarono a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Di solito, si entrava nell’età adulta a tredici anni, quando un ragazzo era ritenuto “responsabile”, capace di rispondere alla Parola di Dio. Ma Gesù è precoce, capace di affrontare questo viaggio un anno prima. E mentre tutti ritornano a casa, alla vita di ogni giorno, perché dopo una festa c’è sempre una routine, Gesù rimane nel tempio, “senza che i genitori se ne accorgessero”. Il testo greco dice ὑπέμεινεν (= sopportò), mentre in italiano diciamo “Gesù rimase a Gerusalemme”. Il rimanere, in fondo, è un sopportare, è un resistere portando il peso. Ciò che avverrà nel sepolcro del Golgota. Il resistere che contraddistingue il servo di JHWH. Mentre Gesù resiste, i genitori non lo sanno, non se ne accorgono, non comprendono.

I poveri genitori inconsapevoli “fecero una giornata di viaggio”, ogni viaggio dura un giorno, e al termine del giorno ci si ritrova, si fa pausa, ci si riposa. Ma al termine di quel giorno, non lo trovano. Lo cercano dove sanno, ma non lo trovano. Avverrà così alle donne nel sepolcro, lo cercheranno dove stava, ma non lo troveranno. Qui l’angoscia di essere stati dei pessimi genitori. In Maria proviamo a immaginare il terrore di fronte a Dio, che le aveva affidato suo figlio! Possa sorgere anche in noi questa angoscia, quando prendiamo coscienza di perdere tra le mani ciò che Dio ci ha affidato, la sua creazione, il suo giardino!

E dove trovano Gesù? “Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava”. Ascoltare e interrogare, le azioni da fare nel tempio, luogo dell’ascolto e delle domande. Dopo tre giorni, come nel sepolcro. E i maestri, nel tempio, vivono lo stupore che abbiamo vissuto davanti alla grotta di Betlemme.

“Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Angosciati. Il termine greco usato da Luca, in realtà, è ὀδυνώμενοι, letteralmente “travagliati”, come nelle doglie del parto. I genitori, in questa ricerca dolorosa, hanno provato di nuovo, e insieme, il dolore del parto. Hanno partorito di nuovo il figlio. Un figlio che risponde con una domanda, anzi due, ed evoca il Padre: “Perché mi cercavate?” e poi “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. C’è uno stupore nel non sapere. C’è uno stupore nel dire ciò che “bisogna fare”, non perché sia un dovere morale, ma perché si tratta di qualcosa di fisico, naturale: il sale serve a portare sapore, bisogna che porti sapore; la lampada bisogna che porti luce; l’acqua bagna, il fuoco scalda. E Gesù bisogna che si occupi delle cose del Padre.

Questo verbo, “bisognare”, attraverserà tutto il vangelo di Luca, è forse il filo conduttore di tutto il viaggio verso Gerusalemme, bisogna fermarsi a casa di Zaccheo, bisogna che il figlio dell’uomo sia consegnato ai farisei, bisogna morire sulla croce. Ma anche la “non comprensione” dei genitori attraverserà tutto il vangelo, nell’incomprensione dei discepoli all’annuncio della sofferenza. E Gesù torna a Nazareth, esattamente come si era aperto il brano, nel luogo dove crescerà sotto tutti i punti di vista.

Come ci ricorda Francesco di Assisi “Ecco, ogni giorno egli si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile” (FF 144)

Buona domenica della Santa Famiglia!