(Ingresso a Gerusalemme, Giotto di Bondone, Cappella degli Scrovegni, Padova, 1303-1305)

Domenica 13 aprile 2025
DOMENICA DELLE PALME – ANNO C
Commento al Vangelo della domenica
Lc 19,28-40

Arriviamo oggi, quasi al termine del cammino quaresimale che si concluderà giovedì con il triduo pasquale, alle porte di Gerusalemme. Gesù oggi non ci dice quando arriverà il regno di Dio, ma ci svela come arriverà: il Re arriverà su un asino. Quanto è bello vedere come Dio scelga le sue creature più semplici per comunicarci il suo messaggio. A ciascuno di noi non chiede altro che slegare un asino, solo di questo lui ha bisogno!

Gesù non ci dice quando viene. Mostrandoci la modalità, che come vedremo ci lascia sconvolti e stravolge i nostri pregiudizi su Dio, ci insegna una cosa molto importante: ogni volta che lasciamo entrare questo re così come viene oggi, possiamo dire che è tra noi il regno di Dio. Sta a noi accogliere il regno di Dio. Qui si compie una profezia, inizia il primo giorno dei sei giorni che Gesù vivrà a Gerusalemme, il tempo di una nuova creazione. La profezia si compie attraverso la figura dell’asino, è l’unica volta in tutto il vangelo di Luca in cui si dice: “andate… e troverete” e poche parole dopo si legge: “gli inviati andarono e trovarono”. Cosa vuol dire questo per la nostra vita di ogni giorno? Che una profezia sia già compiuta ci indica che è profezia di ciò che capita sempre.

Il nostro problema è che quasi sempre noi vogliamo che il re arrivi a cavallo e con i carri, con effetti speciali o con i carri armati, e proviamo quasi delusione a vederlo arrivare su un semplice asino. Ci troviamo “vicino a Bètfage e a Betània”, alle porte di Gerusalemme, due luoghi che hanno un preciso significato che ci lega al grido della terra e dei poveri, luoghi di purificazione prima dell’ingresso nella città. Bètfage, in aramaico בית פגי, letteralmente “casa dei fichi sterili”, rimanda al popolo di Dio che non produce frutto, e davanti al fico in questa quaresima abbiamo sperimentato la misericordia di Dio. Betania, in aramaico: בית עניא, Beth anya, “casa di povertà“, rimanda al nostro limite. La purificazione verso la città santa avviene dentro il nostro limite, il grido della terra e dei poveri, nella sterilità delle nostre azioni e nella fragilità del pianeta, proprio in questo luogo noi possiamo incontrare il re.

Nella missione Gesù “inviò due discepoli”, non si sa quali, sappiamo solo che l’invio è sempre plurale, “nel villaggio di fronte”. Sembra strano non definirli, perché la scena è chiaramente collocata nei due villaggi di Bètfage e Betania, ma forse il villaggio di fronte ci dice che abbiamo sempre davanti una terra di missione. Ed ecco la profezia: “troverete un puledro legato”, un asino che vive la vocazione all’umile servizio, segno di mitezza sin dalla profezia di Zaccaria. Non un ruspante cavallo che traina carri da guerra, ma un umile asino che prende in carico tutti i peccati del mondo.

Questo asino che possiamo trovare ogni giorno nel villaggio di fronte a noi, protagonista del racconto, ha due caratteristiche. Anzitutto è legato. Non è libero. Chissà da quando si trova legato, mentre la creazione di Dio ci ha voluti tutti liberi. Il peccato lega le creature, la nostra paura è lo specchio della nostra lontananza da Dio, anche se vicino questo villaggio è “di fronte”, bisogna varcare un limite. La seconda caratteristica del somaro è che su di esso “non è mai salito nessuno”. Chi di noi ha il desiderio di servire gli altri? Ecco il comando: slegare questo asino. Liberare in noi questa immagine di Dio che viene per servire, una immagine che troviamo nella nostra quotidianità, nel nostro villaggio di fronte.

“E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”»”. L’unica volta in cui Gesù si definisce “Signore” in tutto il vangelo di Luca è in questa scena. E ci dice che è Signore perché ha bisogno. Di cosa ha bisogno? Di slegare l’amore, il servizio. E finalmente i due discepoli conducono l’asino a Gesù. Chissà che incrocio di sguardi tra il puledro e Gesù, abbiamo tutti presente nella mente lo sguardo dolce di un asinello, obbediente e tanto utile. Lo associamo alle immagini dei nostri nonni, al lavoro nei campi, difficilmente suscita in noi sentimenti negativi. Mi piace immaginare la dolcezza di questo incrocio di sguardi!

Scendendo dal monte degli ulivi, il creato come sempre con le sue salite e le sue discese segna la nostra quotidianità e i luoghi della nostra preghiera e del dialogo con Dio, ecco che “tutta la folla dei discepoli” lo lodava. Sembra quasi di sentire questo originario “Laudato si” cantato da una folla, adesso sono tutti discepoli, abbiamo la sensazione di un grande successo, l’amore slegato porta con sé grandi folle acclamanti.

«Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!» è il canto di lode della terra promessa, canto finale dell’esodo. Pace in cielo, quanto bisogno di pace abbiamo, un canto che richiama Betlemme, la grotta dove c’era un asinello e dove gli angeli cantavano: “pace in terra agli uomini amati da Dio”. E Gesù, citando il profeta Abacuc, risponde ai farisei: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre». Le pietre gridano l’ingiustizia degli uomini, quelle pietre che domenica scorsa rischiavano di essere strumento di morte per l’adultera, oggi gridano giustizia. In molti passaggi delle fonti francescane ci sono riferimenti all’umiltà, forse la più amata sposa di San Francesco, il quale ci ricorda che: “Beato il servo, che non si ritiene migliore, quando viene lodato e esaltato dagli uomini, di quando è ritenuto vile, semplice e spregevole, poiché quanto l’uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più” (FF 169).

Vi auguriamo di cuore una buona domenica delle palme, e una ricca settimana santa verso la Pasqua del Signore.

Laudato Si’!