Raffaello Sanzio, Trasfigurazione, Pinacoteca Vaticana, Roma, 1518

Domenica 16 marzo 2025

II DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO C

Commento al Vangelo della domenica

Lc 9,28b-36

Prosegue questa domenica il cammino quaresimale verso la Pasqua del Signore, salendo con Gesù sul monte. Cosa vuol dire la trasfigurazione di Cristo nella nostra vita? Tutta la nostra esistenza, se ci pensiamo, è una ricerca del volto di Dio. Quanto desiderio, negli uomini e nelle donne di tutti i tempi, quanti hanno vissuto con questo desiderio! Questo passo si colloca nel mezzo del Vangelo di Luca, al termine della sua rivelazione.

Nel Vangelo di oggi ascoltiamo la conferma del Padre alla rivelazione di Gesù. La voce dal cielo testimonia, ai discepoli, che è proprio lui “il figlio dell’uomo”, colui che dovrà soffrire, e Dio invita tutti ad ascoltarlo. Il tema non è la Trasfigurazione, tra l’altro lo stesso Luca non usa neppure questo termine. Il tema delle trasfigurazioni, le μεταμόρφωσις (=”metamorfosi”) è molto caro alla cultura pagana, a cui si rivolge Luca: le divinità che assumono sembianze umane. Qui in realtà avviene esattamente il contrario: la natura umana assume la luce, la “stoffa”, di Dio. Questa scena sul Tabor è il punto di conclusione dell’azione creatrice di Dio. Possiamo dire che è la compiutezza del creato. Con la contemplazione della bellezza di questo volto, è come se tutta la creazione avesse completato questo cammino di desiderio animato dalla speranza.

“In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo”, come spesso succede nel vangelo della domenica, ci perdiamo la collocazione temporale del brano. In realtà, il brano che troviamo nella bibbia ci dice “Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé…” questi discorsi, queste parole, in cui Gesù ha detto che è lui “il figlio dell’uomo” e dovrà soffrire per portare la vita. Non potremo mai capire la trasfigurazione, se prima non vediamo Gesù crocifisso, se prima non contempliamo la sua gloria nella sofferenza, in cui possiamo capire cosa sia il suo amore per noi. Luca ci tiene a evidenziare come sia “nell’ottavo” giorno, oltre la creazione, punto di conclusione di questa azione creatrice di Dio, perché parla alla terza generazione di cristiani. L’ottavo giorno, il lunedì descritto da Luca, è la nostra quotidianità, ogni giorno noi possiamo vivere la gioia della trasfigurazione.

Li prende con sé, nella sua intimità, e li porta sul monte, nell’altezza del creato, luogo della sapienza e della preghiera. Il vero luogo della trasfigurazione è la preghiera. Solo così riusciremo a vedere la trasfigurazione. E mentre prega, non avviene una trasfigurazione, ma “il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante”. Fin qui, al centro della narrazione di Luca abbiamo avuto la parola, da questo momento in poi al centro ci sarà il volto, fino alla contemplazione del volto sulla croce, la ricerca di quel volto non riconosciuto dai discepoli di Emmaus. Non potendo descrivere il volto, che è “altro”, descrive la veste che è folgore, e descrive attraverso due figure, Mosè espressione della legge e della parola e Elia profeta che mostra l’azione di Dio nella storia.

Sia Mosè, che Elia, non hanno visto la morte, il primo perché ricevette il bacio da Dio, il secondo rapito da un carro di fuoco. “Pietro e i suoi compagni” erano nel sonno, di notte, sopraffatti dalla stanchezza, esattamente come avverrà nel frantoio del Getsemani, brano parallelo con gli stessi protagonisti. Se non accettiamo la sofferenza di Dio, non entriamo nella logica della croce, è come se siamo nel sonno. La gloria, in ebraio ”kabôd” indica il peso, lo spessore di Dio, ciò che riescono a vedere a occhi aperti.

Mentre questi si separavano da lui” avviene l’intervento curioso di Pietro, molto bello. C’è un momento di separazione tra Mosè ed Elia rispetto a Gesù, così come avverrà anche per i discepoli con la cattura nel Getsemani. La prima reazione del discepolo è lo stupore, “che bello!” che a pensarci bene è l’esclamazione che Dio fa ogni giorno durante la creazione, quando alla fine di ogni atto creativo esclamava sempre “che bello!”. “Facciamo tre capanne” sembra preludere un po’ al vizio di costruire cattedrali, le tende in ebraico שְׁכִינָה‎ (=“Shekhinah”) richiamano al tabernacolo, al luogo dove si custodisce l’eucarestia.

All’entrare nella nube, ebbero paura”. Entrano nella nube, e ne hanno paura. Prima provano la bellezza di contemplare il volto, da fuori. Ma quando si entra nel mistero, il primo stato d’animo è la paura. Dio non si può vedere, nel primo comando Dio dice di non farsi immagini. E infatti si sente solo una voce: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Se cerchiamo il volto di Dio, allora la risposta è “ascoltare Gesù”. Dio è voce. Con la voce crea, con la voce cerca, e l’uomo, se scappa come Adamo, scappa dalla sua voce.

Nella vita di ognuno di noi, ciò che ascoltiamo ci trasforma il cuore, ci trasfigura. Per questo, il cuore di tutto il vangelo di oggi è l’ascolto, perché è qui che si gioca il senso del nostro impegno quotidiano. “Appena la voce cessò, restò Gesù solo”. La solitudine di Gesù, svanita la nube e la compagnia di Mosè e Elia, ci riporta alla quotidianità del cammino.

Questa bellezza che splendeva nel Tabor sembra descritta in maniera sublime dalle parole di San Francesco nella perifrasi del Padre Nostro: “Oh santissimo Padre nostro: creatore, redentore, consolatore e salvatore nostro. Che sei nei cieli: negli angeli e nei santi, illuminandoli alla conoscenza, perché tu, Signore, sei luce; infiammandoli all’amore, perché tu, Signore, sei amore; ponendo la tua dimora in loro, e riempiendoli di beatitudine, perché tu, Signore, sei il sommo bene, eterno, dal quale proviene ogni bene e senza il quale non esiste alcun bene”. (FF 266-267).

Vi auguriamo di cuore una buona domenica.

Laudato Si’!