(Rembrandt, Ritorno del figliol prodigo, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo, 1668)

Domenica 30 marzo 2025
IV DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO C
Commento al Vangelo della domenica
Lc 15,1-3.11-32

Siamo alla quarta domenica di Quaresima, e nel cammino di conversione ci ritroviamo oggi di fronte al dilemma della settimana scorsa davanti al fico: quale delle due ancelle ascoltare? La voce di Giustizia, o la voce di Misericordia? Questo racconto è indirizzato a scribi e farisei che borbottano, vedendo Gesù circondato da peccatori e pubblicani che ascoltano il suo insegnamento. Il primo passo per salvarsi e riconoscersi bisognosi della misericordia di Dio.

E quindi, il paradosso più strano di questo brano così celebre è che i destinatari sono proprio gli scribi e i farisei, siamo tutti noi quando siamo particolarmente impegnati nella missione della chiesa, e corriamo il rischio di sentirci già santi, già giusti. Ed è curioso vedere come i due termini, avvicinarsi (in greco προσχωρέω) e brontolare (τονθορύζω) nella lingua di Luca abbiano quasi lo stesso suono, come se qualcosa di intangibile accomunasse già allora i farisei con i peccatori. Gesù mangia con i peccatori, fa festa, e per i farisei è inammissibile. La parabola ci illustrerà proprio una festa, e come avere l’animo giusto per festeggiare o rimanere fuori dalla porta a brontolare.

In questo stupendo racconto, la parola “padre” compare ben dodici volte: tutti lo chiamano “padre”, il cronista, il figlio minore, gli schiavi, ma solo uno non lo nomina “padre”, cioè il figlio maggiore. La figura drammatica di questo racconto è proprio il figlio buono, il maggiore, che non riesce neppure a dire la parola “fratello”, definendolo piuttosto “questo tuo figlio”. E’ un problema di relazioni.

Un uomo aveva due figli”, viene definito “uomo” perché nessuno dei due lo vuole come padre. Uno vuole scappare, l’altro forse non vede l’ora che muoia per prendersi tutte le proprietà, e per questo scopo obbedisce a tutto controvoglia. In questi due figli c’è tutta l’umanità, chi scappa da Dio e chi lo segue controvoglia. A pensarci bene, la richiesta del figlio minore, “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”, è giustissima: lui chiede ciò che ha il padre, cioè la libertà, la gioia, la pienezza dei suoi beni. Il figlio è affascinato, giovane e inesperiente, ma chiede una vita piena.

Ed egli divise tra loro le sue sostanze”, letteralmente “divise la sua vita”, voleva in fondo che anche il maggiore se ne andasse a vivere la sua vita. Il minore “partì per un paese lontano”, come noi che spesso ci illudiamo che lontano da Dio ci sia la vera libertà, e invece dopo aver sperperato tutto, aver creato un vuoto interiore, addirittura “avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla”, sperimenta la solitudine più assoluta. La totale mancanza di relazioni, nel luogo lontano dove sognava la felicità.

Ed ecco la prima conversione, che nasce dal guardarsi e dal ricordo, quando “ritornò in sé”. Il creato è un ottimo interlocutore, contemplare, a modo suo, gli altri esseri viventi, per giunta i porci, che secoli dopo aiutarono San Francesco in una sua celebre catechesi a Roma. Nel tornare, il suo obiettivo non è “essere figlio”, non si ritiene più neppure degno, ma è mangiare. Cosa deve fare una persona per meritare di essere figlio? “Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”. Tutte azioni prettamente femminili, tipiche di una mamma. Questo padre, come nel quadro di Rembrandt, ha due mani diverse: una maschile e l’altra femminile. Non lo rimprovera neppure, non gli fa la morale. Lui è un figlio! Qui ci mostra il volto del Padre. Un padre che dice: “Presto, portate qui il vestito più bello”, è ora di cambiare veste alla vita, la veste rifiutata da Adamo, creato a immagine e somiglianza, creato figlio! E poi “mettetegli l’anello al dito”, cioè il sigillo, il patto definitivo, l’accordo firmato, e “i sandali ai piedi”, perché è un uomo libero, solo gli schiavi andavano scalzi. Ma non solo, chiede “Prendete il vitello grasso”, letteralmente in greco sarebbe “il vitello di grano”, preludio al banchetto eucaristico, in cui si fa festa non perché il peccatore si pente, ma perché il figlio capisce di essere tale. Questa la gioia immensa di Dio!

Mentre si sente il chiasso della festa, il racconto di Luca si concentra sul fratello maggiore, il più vecchio, il “presbitero”. Egli “si trovava nei campi”, anche lui nel creato, ma non per contemplarlo. E’ lì a sudare con il suo lavoro quotidiano, a ubbidire alla legge: 613 precetti, di cui 365 negativi, un divieto al giorno, 248 precetti positivi quanto le ossa del corpo, cioè fin nelle ossa e nel nostro intimo dobbiamo osservare la legge di Dio. Si informa da un servo, che è l’unico che comprende tutta la verità e fissa le giuste relazioni, dicendo: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto…”. In tutto il racconto è l’unico che cita la giusta parentela. Alla gioia del padre, si contrappone il figlio presbitero che “si indignò” perché non è giusto fare festa: solo io che ubbidisco, merito di essere amato! “Meritare” ha sempre qualche assonanza con “meretrice”, colei che vende il suo amore. L’amore non si può comprare, sennò lo confondiamo con la prostituzione. A differenza del minore, il presbitero costringe il padre a “uscire” e “supplicarlo”. Pensate al dramma di questo padre, che si perde la festa per consolare il figlio che non vuole partecipare, mentre tutti cantano e danzano.

Non c’è il lieto fine, in questa storia. Non c’è un finale drammatico. Non sappiamo se il figlio maggiore sceglierà di festeggiare, o rimarrà fuori dalla porta. Il testo di Luca è stupendo proprio perché ci lascia questo finale sospeso, che forse sta a noi riempire con il nostro cuore. Quanto sono vere le parole del Cantico delle Creature: “Laudato si’, mi Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore” (FF 263).

Vi auguriamo di cuore una buona domenica.

Laudato si’!