Domenica 20 marzo
III DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO C
Lc 13,1-9

Foto di Sanej Prasad Suwal da Pexels

Oggi viviamo insieme la terza tappa del cammino quaresimale, con un vangelo che ci interpella sempre: che senso ha il male nel mondo? Che risposta ha Dio di fronte alla sofferenza? Classica domanda che i bambini, e ciascuno di noi “bambino” si fa davanti a Dio, in preghiera, quando davanti a noi si presentano immagini di sofferenza. Gesù, in tutta la sua predicazione, ci mostra una strada, e sta a noi percorrerla e vivere la conversione, con la certezza che lui ha sempre misericordia di noi e ci aspetta.

Siamo nel capitolo 13 di Luca, subito dopo aver visto in Gesù il desiderio di spirito e fuoco, per dare risposta al male nel mondo, acqua e morte, di cui prova angoscia. Gesù ha appena mostrato tutta la sua umanità. Quel male che entra nella vita di ciascuno di noi, nella nostra quotidianità, nelle nostre famiglie, nelle nostre società, con tutta la creazione, con le generazioni passate e future, con Dio. Quanto abbiamo bisogno di una “ecologia integrale”, proprio integrale, in tutte le direzioni! Anche a Gesù è stata posta questa domanda, proprio dopo che lui stesso ha mostrato la sua angoscia per il male del mondo.

La Sacra Scrittura insiste sempre sulla connessione tra il male del mondo e la nostra distanza da Dio, fin dai primi versetti della Genesi. Adamo rifiuta il rapporto con Dio, il rapporto verticale, e si ritrova nudo, sperimentando la lacerazione di sé, con la donna, con i figli e con la società violenta. La morte, nel nostro modo di vedere allontanato da Dio, viene sempre vista come un male. Gesù, nel vangelo di oggi, cerca di farci capire la corretta visione delle cose, che Francesco aveva perfettamente incarnato quando cantava: “Laudato si’ mi Signore per sora nostra morte corporale”. Il male, se ci pensiamo bene, non è tanto la morte, ma più la paura di morire, specie quando la nostra superbia ci fa dimenticare la nostra dimensione di creature, che nascono e che, già si sa, sono destinate anche a morire.

Oggi il tema, sempre terribilmente attuale, è il male nel mondo. Quello che sfugge alla nostra dimensione personale, quello talmente grande che noi non possiamo farci nulla. “Si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici” è il racconto di un fatto di cronaca come ogni giorno. Pilato, per gli ebrei, è il simbolo dell’oppressore romano, che fa il male e in più è sacrilego verso le usanze. Ha ragione l’oppressore, o hanno ragione gli oppositori, anche se terroristi? Pochi versetti prima, al capitolo 12, Gesù aveva chiesto “pensate che io sia venuto a portare la pace nel mondo?” spiazzando il nostro sentire comune sul tema della pace. Cos’è la pace? All’epoca di Gesù, e Pilato ne è un emblema, c’era la pax romana, che veniva imposta attraverso il dominio e la guerra. La stessa pace che contraddistingue tutta la nostra storia, anche attuale, nelle tante, troppe guerre più o meno dimenticate.

La storia viene sempre scritta dai vincitori, che non fanno altro che essere superiori agli avversari, sottometterli e giustificarsi davanti alla storia. I perdenti vengono processati, condannati e bollati dalla storia. Nella Bibbia ciò non avviene: Caino, fondatore di città, rimane per quello che è: un uomo che non ha accolto il giudizio di Dio, che si è separato da lui, che ha ucciso il fratello. Un uomo solo, privo di relazioni. Alla richiesta di prendere posizione tra il cattivo oppressore romano e i buoni terroristi galilei, Gesù risponde con una domanda.

“Credete che quei Galilei fossero più peccatori?” spiazza il nostro punto di vista, perché nel ragionamento di Gesù scompaiono i romani. Il male condiviso. Il male comune. La convinzione che il male è sempre altrove, e noi siamo nel bene. Tentazione che viviamo sempre, quella di essere già santi con l’aureola, e gli altri sbagliano! Noi tutti siamo galilei, e come quei galilei siamo esattamente come i romani, che cercavano di sopraffare l’altro con la violenza. Quindi, i galilei, in cosa dovrebbero essere meglio dei romani? Abbiamo veramente bisogno di una conversione, di capire che non è divorando le relazioni, il pianeta, i poveri, che si vive nel mondo, sia che siamo vincitori o vinti dalla storia.

La risposta/domanda di Gesù spiazza proprio quei farisei che lo mettono alla prova, e ha la sua coerenza nella croce: Cristo morirà rifiutando fino all’estremo la logica della violenza, e verrà ucciso proprio da quei farisei, alleati nella stessa logica con i romani, che potevano eseguire condanne a morte, con i sadducei, con gli erodiani. Dopo duemila anni, ancora ne parliamo: il male non si combatte con il male, ma con il bene. Frase apparentemente banale, ma difficilissima da vivere nella storia. Ma finché il tema è la storia, la volontà degli uomini, anche se a fatica, possiamo dire che si può capire. Ma quando invece il male non deriva dall’azione dell’uomo, ma dal creato, che risposta ci dona Gesù?

Foto di Karolina Grabowska da Pexels

“O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise” ci racconta di un terremoto, quelle diciotto persone erano variamente buone e cattive, non erano lì per esercitare violenza. Cosa vuole dirci allora Gesù? Che la morte è nella nostra natura, sia che ci intestardiamo a fare del male, sia che ci troviamo casualmente sotto una torre. Il male sta prima di quell’evento, nell’avere la paura della morte, e vivere una vita preventiva quasi esorcizzando, nella violenza e nell’abuso dei beni, questo terrore. E come si pone Dio di fronte a questa nostra cecità, questa fatica a comprenderlo ancora oggi?

“Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero” sembrano essere le parole di ciascuno di noi, quando esauriamo la pazienza di aspettare i fratelli e le sorelle. Dio è solo bene, soprattutto in Luca. Dio non vuole esercitare la giustizia, ma la misericordia. Per spiegarlo, come spesso capita, Gesù prende in prestito immagini del creato, la vigna e il fico. La vigna è simbolo di Israele, della terra promessa, che prima viene conquistata, poi preparata, poi coltivata, poi raccolta nei suoi frutti che vengono lavorati dall’uomo. La fine di tutto questo processo è il vino, segno dell’amore di Dio. 

“Venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò” per noi generazione lontana dai campi dice poco, ma per chi viveva nella campagna è un’immagine molto eloquente. Il fico, dentro la vigna, è proprio il popolo, che è chiamato sempre a produrre frutti, proprio come questo particolare tipo di albero che quasi non conosce stagioni. Per giunta i fichi che rimangono sui rami anche “oltre stagione”, che tendono a seccare, sono segno di questa continua produzione. L’espressione “non c’è neppure un fico secco” dice proprio questo! La cosa bella è che Dio non viene per cercare frutti per sé, ma spera nella realizzazione dell’albero. Pensa al bene dell’albero, al bene di ciascuno di noi.

“Sono tre anni che vengo a cercare frutti”, i tre anni del ministero di Gesù che non viene ascoltato dai suoi discepoli, non viene capito dagli scribi, dai farisei, dai suoi stessi fratelli. E allora, che fare? Ascoltare il Battista, per il quale già la scure era pronta alla radice per tagliare chi non porta frutto? Si potrebbe agire secondo giustizia, non è giusto che un albero che non produce frutto debba nutrirsi delle risorse della terra. 

Alla giustizia risponde la misericordia. “Padrone, lascialo ancora quest’anno” è l’affermazione della misericordia di fronte alla giustizia incontestabile. La misericordia è umile, chiama l’altro “padrone”, e concede ancora all’albero la libertà di esprimersi, di fare frutto. Lo concede offrendo il suo lavoro, “gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime” e aspetterà per un anno. L’anno prossimo vedremo! Il verbo “lascialo” indica quasi “perdonalo”, concedi un altro anno. Non sappiamo come finisce la storia, come molti passaggi di Luca il finale rimane sospeso, come la scena finale del padre misericordioso che si chiude sull’uscio della porta. La misericordia è una scommessa che Dio fa con noi, molto diversa dalla giustizia che si pronuncia in maniera definitiva.

Qual è quindi l’unica certezza di questa immagine tratta dal creato? La certezza è che Dio intanto si mette al nostro servizio, scava intorno a noi e concima la terra, ci nutre, si prende cura di noi, anche nella nostra sofferenza e nel non senso dei nostri giorni. Ci ricorda sempre quale sia il nostro comandamento originario. Ci vuole vivi. Al male nel mondo e alla difficoltà che abbiamo a portare frutto, sembrano echeggiare le parole di Santa Chiara sul tema della veglia: “Sii sempre attenta e vigile nella preghiera. Porta alla sua consumazione il bene che hai incominciato, e adempi il mistero che hai abbracciato in santa povertà e in umiltà sincera” (FF 2916). Ringraziamo il Signore per il dono della sua parola misericordia, che dobbiamo imparare a riconoscere anche nonostante il male del mondo. Preghiamo affinché questo tempo di prova sia l’occasione, per noi, di dare gioia a Dio con i nostri piccoli frutti. Vi auguriamo di cuore una buona domenica.

Laudato si’!

Foto di Nuno Campos da Pexels