San Giuseppe con Gesù Bambino in braccio, Guido Reni, 1635, Ermitage, San Pietroburgo

 

Da Antonio Caschetto

Domenica 18 dicembre

IV DOMENICA DI AVVENTO – ANNO A

Mt 1, 18-24

Siamo arrivati all’ultima domenica di Avvento, accompagnati dal Cammino Laudato Si’ che ci fa intravedere la scena della grotta di Betlemme. Oggi il racconto si sofferma su Giuseppe, figura silenziosa e incredibilmente affascinante delle Sacre Scritture. Cosa ci dice, oggi, l’esempio di Giuseppe? Come accogliere, attraverso Maria e la Chiesa, l’umanità di Dio?

Siamo nei primi versetti del vangelo di Matteo, appena dopo la genealogia che ha mostrato come il sangue di Dio incarnato è il sangue dell’umanità, con le sue speranze e le sue fragilità, nel solco della storia: da Abramo, attraverso Davide e l’esilio, fino a Gesù. Ora vediamo questo sangue, che scorre nelle vene dell’umanità ma che non genera Gesù, e che lo accoglie per mezzo di Maria.

Un brano delicatissimo, fatto di silenzi e di dolore, che ci restituisce la grandezza di questa figura della Bibbia, esempio di responsabilità e di cura della nostra casa comune.

Foto di Askar Abayev, pexels.com

“Così fu generato Gesù Cristo”. Questa espressione fa da cerniera tra la genealogia e il racconto di Giuseppe. Come avvenne tutto? Per opera dello Spirito Santo, attraverso l’amore di Dio, l’umanità a partire da Maria, riceve questo dono immenso. Maria per prima riceve il dono, e lo accoglie nella sua vita. Non è un desiderio di Maria, ma lei viene scelta, e nella sua libertà poteva accettare o rifiutare. Allo stesso modo Giuseppe, poteva rifiutare o accettare, nella sua libertà, perché era ancora in tempo, non erano ancora sposati.

Accettare o rifiutare. Sin dai primi versetti del vangelo di Matteo, siamo tutti chiamati in questo dilemma che accompagna da sempre l’umanità intera: accogliere il dono di Dio, o essere indifferenti? All’inizio Giuseppe, poiché era uomo giusto, e si aspettava la giusta ricompensa per le sue azioni, vede che questo dono non gli apparteneva. Era un dono troppo grande, ed era stato dato a Maria, non a lui. La prima condizione per accogliere Dio è riconoscersi umili: sapere di non meritare l’immensità del dono di Dio ci consente di generarlo così come si presenta a noi, fuori dai nostri schemi e dalle nostre immagini. La seconda è la generosità: più grande è il senso che abbiamo della generosità di Dio, più facilmente accoglieremo il suo dono, consapevoli di non meritarlo. Come se, lavorando un’ora, qualcuno ci pagasse 10 milioni, sarebbe una paga troppo alta, che faccio, rifiuto?

“Mentre stava considerando queste cose”, mentre cioè Giuseppe cercava soluzioni umane, appare un angelo. Appare un annunciatore. Cosa rappresenta quindi l’angelo? Noi, nella situazione di Giuseppe, mentre cerchiamo soluzioni umane ai problemi della nostra casa comune, abbiamo davanti a noi un annunciatore: la Parola di Dio. Appare in sogno, quando non abbiamo alcun controllo del nostro corpo, nelle nostre morti quotidiane.

“Giuseppe, figlio di Davide, non temere!” sono le prime parole dell’angelo. Nel sogno, Dio chiede sempre di avere una relazione vera, non fondata sulla paura. Spesso, invece, il nostro rapporto con Dio è dominato dal terrore, dal giudice che ci condannerà, dal nostro essere indegni del dono. La paura, per questo, ci allontana sempre dalla fede, come avvenuto ad Adamo che, per paura, si nascose nel giardino di Eden.

Dio non chiede a Giuseppe di prendere Gesù, ma di prendere Maria come sposa. Molto sottile questo aspetto, questa richiesta precisa, che ci dice tanto sulla nostra fede e sul rapporto con la chiesa. Possiamo accogliere il dono di Dio solo quando, in umiltà e generosità, accogliamo il dono dei fratelli e delle sorelle attraverso i quali Dio si manifesta. La fede è apostolica, nasce da un racconto, nasce dalla fiducia di questo racconto tramandato da persone, ad altre persone, nel corso dei secoli. Per questo non si può accogliere il dono di Dio, al di fuori del cammino della chiesa, fuori dal povero, fuori dal grido della casa comune.

Giuseppe non parla mai. In tutti i testi che lo riguardano, non apre mai bocca, non c’è nessun virgolettato. Non abbiamo certezza di nessuna parola che abbia potuto pronunciare questo uomo giusto, al di fuori di una: “Gesù”. Dio salva. Siamo certi che Giuseppe ha pronunciato questa parola, perché “ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù”. Dare il nome, nella cultura ebraica, era la principale forma di relazione con il creato, la forma di “dominio” che Dio concede agli uomini, Adamo per primo “impose nomi” a tutte le creature. Dare il nome esprime la paternità accolta da Giuseppe.

Sogno di san Giuseppe, Antonio Palomino, 1697, Museo del Prado, Madrid

“Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo”. La conclusione del racconto di oggi ci spiega come viene generato Gesù. Nelle genealogie precedenti c’è un problema numerico, perché la prima – da Abramo – e l’ultima – fino a Gesù – non sono costituite da quattordici generazioni, ma da tredici. Questo ci dice che non sappiamo come è generato Abramo, e non sappiamo come sia generato Gesù. Solo con l’atteggiamento di Giuseppe possiamo generare Gesù, possiamo accogliere il dono immenso di Dio nell’umanità ferita. Questo ci apre a gustare in piano il mistero del Natale che vivremo in questi giorni.

Preghiamo il Signore affinché in questa domenica ci aiuti ad accogliere il dono infinito di sé, come Santa Chiara di Assisi, che diceva: “Colloca i tuoi occhi davanti allo specchio dell’eternità, colloca la tua anima nello splendore della gloria, colloca il tuo cuore in Colui che è figura della divina sostanza, e trasformati interamente per mezzo della contemplazione, nell’immagine della divinità di Lui” (FF 2888).

Vi auguriamo di cuore una buona domenica! 

Laudato si’!

Foto di Ольга Волковицкая, pexels.com