Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, Caravaggio, 1600, Oratorio di San Lorenzo, Palermo, opera trafugata

 

 

Da Antonio Caschetto

Un bambino è nato per noi, 

ci è stato dato un figlio. 

Sulle sue spalle è il potere 

e il suo nome sarà: 

Consigliere mirabile. (Is 9,5)

 

Domenica 25 dicembre

NATALE DEL SIGNORE – SOLENNITA’

Gv 1, 1-18

Eccoci arrivati dopo questo cammino davanti alla grotta di Betlemme! E troviamo oggi il prologo di Giovanni a illuminare questo spazio umile e a farcene comprendere il mistero. Un testo decisamente impegnativo, a tratti difficilmente comprensibile. Del resto, è difficilmente comprensibile la scena di oggi: Dio, nella sua immensità, ha scelto di spogliarsi di sé stesso, assumere la natura umana, e noi non abbiamo dato a lui neppure un alloggio nella locanda!

Il prologo ci presenta la protagonista del vangelo: la parola. È un inno alla parola, una stupenda poesia! Cosa c’è di meglio di una poesia, per descrivere la bellezza, per descrivere la pienezza?

Nell’inno si presenta la Parola nel suo rapporto con Dio, nel suo rapporto con il creato, nel suo rapporto con la storia, finché la parola diventa carne, quando vediamo Dio faccia a faccia, come di fronte a questa mangiatoia ricca di dolcezza e mistero. Cosa è la parola? Se ci pensiamo bene, la parola è ciò che dà l’esistenza a ogni persona. Senza parola, l’uomo non esiste, non si relaziona, non vive.

Prologo di Giovanni, pergamena

Ciò che c’è in principio, è ciò che si troverà anche alla fine, ciò che ci attende. Nel principio, anzi, prima del principio non c’era il caos, o la confusione. Nel principio non c’era l’azione, non c’era il fato. In principio era “la parola”. Il termine parola deriva da “paraballo”, cioè “gettare fuori”, con la parola, l’uomo getta fuori, si espone, si offre, esce da sé. L’uomo è parola esposta e ascoltata, corrisposta. Dio stesso è parola, libertà, comunicazione, amore. Chi parla non dice cose, ma dice sé stesso, se dice la verità. Infatti, quando due non parlano più, è un disastro. Dio è parola, è dono.

Dire che in principio era la parola, indica anche che nel destino dell’uomo è la parola. Questa parola, però, può essere menzogna. Per questo Francesco, che di questa grotta intuì per primo la bellezza di rappresentarla “vivente”, nel Cantico evidenzia il rischio della parola, fonte di menzogne per lodare Dio, e preferisce all’uso della parola l’uso di tutta la creazione. Lodare Dio attraverso la creazione, almeno non si corre il rischio di essere ipocriti, falsi.

Nei confronti della creazione, un racconto ebraico dice che il mondo è stato creato con le lettere dell’alfabeto: un modo molto intelligente per dire che il mondo è intelligibile, è comprensibile. Per questo per gli ebrei il mondo si “domina” dando nomi alle cose, usando le parole. Tutto avviene attraverso la parola.

Dio disse, creando tutto, la luce, il cielo, il giorno, la notte, le acque. Quando crea l’uomo, crea colui che sa leggere il creato. Quanto lo stiamo scordando, questo dono di leggere il creato! Se c’è una bella musica, e nessuno la ascolta, questa musica non è bella, non ha neppure senso. Così noi uomini rischiamo di trattare tutta la bellezza del Creato, svuotandolo di significato con la nostra indifferenza.

Questa parola diviene carne: cambia l’economia della parola. Come fa a diventare carne? L’uomo vive della parola, e Gesù ha vissuto nella sua carne la parola del Padre. Quando viviamo la parola di Dio, è come se noi cominciamo a vivere il limite e la fragilità della nostra carne in modo divino, nella relazione con gli altri, nella relazione con il creato, nella relazione con il grido del povero, del fragile. Nella mia carne fragile posso essere figlio di Dio, se in me abita la parola di Dio. La grotta di Betlemme che abbiamo visitato domenica scorsa è il luogo che, per primo, ha visto questa carne, questa nuova via per tutta l’umanità.

Quanta luce, di fronte a quei pastori, che oggi possiamo essere anche noi, lì per caso, di notte, nel lavoro quotidiano, nelle preoccupazioni della vita! Dio nessuno lo ha mai visto, anche se spesso noi ce lo facciamo a nostra immagine, come meglio ci conviene. Dio è parola, la parola non la vedi, ma la devi capire. La parola si narra con la vita. Il figlio, con la sua vita, con la sua carne, ci racconta cosa è Dio. Tutta la vita di Gesù, che comincia da quella grotta, è una narrazione di Dio. È una “esegesi”, un “tirare fuori”, lui ci espone, ci spiega che l’uomo è figlio, è fratello. Quel Dio che tutti cerchiamo di immaginare come meglio ci piace, ci si rivela nell’umanità, così come vissuta da Gesù.

La Natività di Giotto e bottega, 1310, Basilica Inferiore di San Francesco, Assisi

Quanti tramonti stupendi ci siamo persi, con gli occhi rivolti ai televisori o ai cellulari? Quanti cieli stellati spettacolari! Il creato è una parola oggettiva, l’uomo attraverso la parola divinizza, interpreta il creato, ne trova un senso, cerca la firma del creatore. Solo l’uomo svolge questo compito. Però succede che la luce, che illumina il mondo da questa grotta, non viene accolta dalle tenebre. Nel mondo c’è una paura, una menzogna, che non afferra la parola. Afferrare vuol dire comprendere, ma anche imprigionare. Le tenebre non riescono a comprendere la luce, ma neppure riescono a soffocarla. Con questo doppio senso viene dato valore all’umiltà di questa grotta, al dramma di un Dio che nasce, ma che non viene riconosciuto dagli uomini. Soffermeremo lo sguardo sulla seconda parte del prologo domenica prossima, prima domenica del nuovo anno, che verrà accompagnata dagli stessi passi del Vangelo.

L’augurio più bello, in questo Natale, è di contemplare questa scena di Betlemme con lo sguardo di Santa Chiara di Assisi, che diceva: “Mira, in alto, la povertà di Colui che fu deposto nel presepe e avvolto in poveri pannicelli. O mirabile umiltà e povertà che dà stupore! Il Re degli angeli, il Signore del cielo e della terra, è adagiato in una mangiatoia! Vedi poi, al centro dello specchio, la santa umiltà, e insieme ancora la beata povertà, le fatiche e pene senza numero ch’egli sostenne per la redenzione del genere umano. E, in basso, contempla l’ineffabile carità per la quale volle patire sul legno della croce e su di essa morire della morte più infamante. Perciò è lo stesso specchio che, dall’alto del legno della croce, rivolge ai passanti la sua voce perché si fermino a meditare: o voi tutti, che sulla strada passate, fermatevi a vedere se esiste un dolore simile al mio; e rispondiamo, dico a Lui che chiama e geme, ad una voce e con un solo cuore: non mi abbandonerà mai il ricordo di te e si struggerà in me l’anima mia.” (FF 2904).

In questa parola si gioca il destino dell’uomo, alla luce di questa parola che possiamo capire tutta la bellezza di quello che è successo nella mangiatoia di Betlemme, e forse il nostro Natale, nel nostro incontro al termine di questo cammino di ricerca di queste settimane, assume un sapore più dolce.

Vi auguriamo di cuore un buon Natale del Signore! 

Laudato si’!

Gerard van Honthorst, Adorazione dei pastori, 1622, Galleria degli Uffizi, Firenze