Trasfigurazione Raffaello (Pinacoteca Vaticana)
Domenica 13 marzo
II DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO C
Lc 9,28b-36
Prosegue questa domenica il cammino quaresimale verso la Pasqua del Signore, salendo con Gesù sul monte. Cosa vuol dire la trasfigurazione di Cristo nella nostra vita? Quale può essere la nostra migliore risposta allo stupore che genera nel nostro cuore Dio? Tutta la nostra esistenza, se ci pensiamo, è una ricerca del volto di Dio. Quanto desiderio, negli uomini e nelle donne di tutti i tempi, hanno vissuto con questo desiderio! E’ una ricerca di noi stessi, che siamo fatti “a sua immagine e somiglianza”, e che cerchiamo noi stessi nel volto di chi ci ha voluti, di chi ci ha creati con amore. Da Adamo in poi, colui che si nascose al volto di Dio, gli uomini vivono tra la paura di vedere il volto di Dio e il desiderio di dire con Pietro “è bello!”
Questo passo si colloca nel mezzo del Vangelo di Luca, al termine della sua rivelazione. Il vangelo ci svela, attraverso diversi personaggi, il volto di Cristo. All’inizio Erode, che teme fosse un re, la gente che pensa fosse un profeta, o il Battista, i discepoli dicono che sia il Cristo, senza forse sapere cosa significhi. Gesù spiega che lui è “il figlio dell’uomo”, figura gloriosa del libro di Daniele al capitolo 7, giudice del mondo. Ma Gesù completa la sua descrizione con le parole del profeta Isaia, spiegando che lui è “servo di Jahvè” che dovrà soffrire per il popolo, per vincere il male. Dopo essersi descritto, Gesù descrive anche i suoi discepoli, con grande crudezza, concludendo dicendo: “Chi vuol venire dietro di me, prenda la sua croce”, facendoci capire che seguirlo comporta percorrere la sua strada, che comporta anche la sofferenza. Passare attraverso queste sofferenze per giungere alla vita, alla sua stessa vittoria.
Nel Vangelo di oggi ascoltiamo la conferma del Padre. La voce dal cielo testimonia, ai discepoli, che è proprio lui “il figlio dell’uomo”, colui che dovrà soffrire, e Dio invita tutti ad ascoltarlo. Il tema non è la Trasfigurazione, tra l’altro lo stesso Luca non usa neppure questo termine. Il tema delle trasfigurazioni, le μεταμόρφωσις (=”metamorfosi”) è molto caro alla cultura pagana, a cui si rivolge Luca: le divinità che assumono sembianze umane. Qui in realtà avviene esattamente il contrario: la natura umana assume la luce, la “stoffa”, di Dio. Per vedere Dio, noi possiamo vedere l’umanità di Gesù, e da lui che dobbiamo prendere spunto, ed essere suoi discepoli ascoltandolo. Questa scena sul Tabor è il punto di conclusione dell’azione creatrice di Dio. Possiamo dire che è la compiutezza del creato. Infatti, “tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi […] aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati”. (Rm 8, 22-24). Con la contemplazione della bellezza di questo volto, è come se tutta la creazione abbia completato questo cammino di desiderio animato dalla speranza.
“In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo”, come spesso succede nel vangelo della domenica, ci perdiamo la collocazione temporale del brano. In realtà, il brano che troviamo nella bibbia ci dice “Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé…” questi discorsi, queste parole, in cui Gesù ha detto che è lui “il figlio dell’uomo” e dovrà soffrire per portare la vita. Otto giorni dopo aver rivelato la sua missione ai discepoli, prende con sé tre di loro. Anche per noi vale lo stesso, se non passiamo attraverso quelle parole, non vedremo mai la trasfigurazione. Non potremo mai capire la trasfigurazione, se prima non vediamo Gesù crocifisso, se prima non contempliamo la sua gloria nella sofferenza, in cui possiamo capire cosa sia il suo amore per noi. Mentre Marco colloca la trasfigurazione “al sesto giorno”, nel giorno dell’uomo, quando tutto è compiuto, Luca ci tiene a evidenziare come sia “nell’ottavo”, oltre la creazione, punto di conclusione di questa azione creatrice di Dio, perché parla alla terza generazione di cristiani. E’ il giorno unico della resurrezione, non ci sarà la “fine dei tempi” attesa dai primi cristiani. L’ottavo giorno, il lunedì descritto da Luca, è la nostra quotidianità, ogni giorno noi possiamo vivere la gioia della trasfigurazione.
Li prende con sé, nella sua intimità, e li porta sul monte, nell’altezza del creato, luogo della sapienza e della preghiera. Il vero luogo della trasfigurazione è la preghiera. Quando entriamo in questo rapporto di figlio e padre, come Gesù aveva con il Padre, possiamo sperimentare la trasfigurazione. Il creato ci parla, ci rivela questo volto di Dio, sta a noi comprenderlo, saperlo leggere. Possiamo cambiare il mondo solo se impariamo a “cambiare mondo” a cambiare sguardo, a educare nel nostro lunedì, nella nostra vita di ogni giorno, questa contemplazione. Solo così riusciremo a vedere la trasfigurazione. E mentre prega, non avviene una trasfigurazione, ma “il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante”.
Dio è altro, cambia aspetto, si mostra per quello che è, e ci mostra il suo volto. Fin qui, al centro della narrazione di Luca abbiamo avuto la parola, da questo momento in poi al centro ci sarà il volto, fino alla contemplazione del volto sulla croce, la ricerca di quel volto non riconosciuto dai discepoli di Emmaus. Non potendo descrivere il volto, che è “altro”, descrive la veste che è folgore, e descrive attraverso due figure, Mosè espressione della legge e della parola e Elia profeta che mostra l’azione di Dio nella storia. Solo lui è la luce che illumina i nostri volti, se siamo con Dio il nostro volto sarà “sfolgorante”.
Sia Mosè, che Elia, non hanno visto la morte, il primo perché ricevette il bacio da Dio, il secondo rapito da un carro di fuoco. Per capire la gloria di Dio dobbiamo ricorrere alla Bibbia. Sono entrambi rappresentati “nella gloria” di Gesù, e parlano “del suo esodo”, cioè della sua morte in croce, tutto l’antico testamento parla della sua morte e resurrezione e cammina verso questo evento che cambia la storia.
“Pietro e i suoi compagni” erano nel sonno, di notte, sopraffatti dalla stanchezza, esattamente come avverrà nel frantoio del Getsemani, brano parallelo con gli stessi protagonisti. Anche lì ci sono infatti Pietro, Giacomo e Giovanni, anche lì Gesù prega, e mentre oggi il Padre lo chiama “figlio”, nell’orto degli ulivi gesù lo chiamerà “Padre!” Nel sonno i discepoli non riescono a unirsi, ma appena si svegliano si uniscono a Mosè e Elia, così come tutti noi, che con lo sguardo chiuso “alla sua gloria” non possiamo contemplare il volto di Dio. Se non accettiamo la sofferenza di Dio, non entriamo nella logica della croce, è come se siamo nel sonno. La gloria, in ebraio ”kabôd” indica il peso, lo spessore di Dio, ciò che riescono a vedere a occhi aperti.
“Mentre questi si separavano da lui” avviene l’intervento curioso di Pietro, molto bello. C’è un momento di separazione tra Mosè ed Elia rispetto a Gesù, così come avverrà anche per i discepoli con la cattura nel Getsemani. La prima reazione del discepolo è lo stupore, “che bello!” che a pensarci bene è l’esclamazione che Dio fa ogni giorno durante la creazione, quando alla fine di ogni atto creativo esclamava sempre “che bello!” Anche Pietro vede questa bellezza, sul monte, la bellezza di Dio attraverso il figlio. Dovrebbe essere la stessa bellezza che dobbiamo imparare a scoprire, guardando attraverso il volto di Gesù, ogni nostro fratello e sorella e guardando a tutto il creato! A Dio veniva facile stupirsi per tutta questa bellezza, guardando l’uomo appena creato, perché vedeva il suo splendore.
“Facciamo tre capanne” sembra preludere un po’ al vizio di costruire cattedrali, le tende in ebraico שְׁכִינָה (=“Shekhinah”) richiamano al tabernacolo, al luogo dove si custodisce l’eucarestia. La tenda definitiva è la carne di Gesù. Pietro non se ne poteva neppure rendere conto, appena risvegliato e colpito da tanta bellezza. Dio risponde attraverso il creato, attraverso “la nube”, segno di vita, di pioggia che disseta, di luce nella notte dell’esodo, di schermo che ci consente di vedere il sole, segno dell’amore di Dio.
“All’entrare nella nube, ebbero paura”. Entrano nella nube, e ne hanno paura. Prima provano la bellezza di contemplare il volto, da fuori. Ma quando si entra nel mistero, il primo stato d’animo è la paura. E cosa succede nella nube? Dio non si può vedere, nel primo comando DIo dice di non farsi immagini. E infatti si sente solo una voce: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Se cerchiamo il volto di Dio, se vogliamo dare pace a questo desiderio che caratterizza tutti gli uomini di ogni tempo, allora la risposta è “ascoltare Gesù”. Nel suo ascolto, troviamo la risposta del nostro desiderio. Mentre il volto è destinato a mutare, con gli anni rischiamo di non riconoscere amici di lunga data o parenti, la voce rimane la stessa, le parole superano il tempo. E più noi cerchiamo di mettere in pratica le parole di Gesù, più il nostro volto sarà a immagine e somiglianza di quello del Creatore.
Dio è voce. Con la voce crea, con la voce cerca, e l’uomo, se scappa come Adamo, scappa dalla sua voce. Domenica scorsa la quaresima iniziava nel deserto, proprio poco dopo aver sentito una voce dal cielo che diceva: “Tu sei il figlio mio” rivolta a Gesù che in silenzio accoglieva il nostro limite. Adesso, invece, quella voce è rivolta a noi, citando Isaia quando descrive il servo di Jahvé (Is 42), dicendo: “Questi è il figlio mio”. Solo in queste due occasioni, nel vangelo, si ascolta la voce di Dio, ed è curioso vedere come in fondo in entrambe dica la stessa cosa. Come si conclude la trasfigurazione? Con l’ascolto.
Nella vita di ognuno di noi, ciò che ascoltiamo ci trasforma il cuore, ci trasfigura. Per questo, il cuore di tutto il vangelo di oggi è l’ascolto, perché è qui che si gioca il senso del nostro impegno quotidiano. “Appena la voce cessò, restò Gesù solo”. La solitudine di Gesù, svanita la nube e la compagnia di Mosè e Elia, ci riporta alla quotidianità del cammino. Bisogna ascoltare il Gesù della croce, colui che poco prima aveva detto che bisognava soffrire, non il Gesù della gloria. Questa è forse la sfida più bella che ci lascia la trasfigurazione, in questa domenica di quaresima, imparare ad ascoltarlo lontano dagli “effetti speciali” ma nell’umiltà dei fratelli vicini e del creato che ci parla.
Questa bellezza che splendeva nel Tabor sembra descritta in maniera sublime dalle parole di San Francesco nella perifrasi del Padre Nostro: “Oh santissimo Padre nostro: creatore, redentore, consolatore e salvatore nostro. Che sei nei cieli: negli angeli e nei santi, illuminandoli alla conoscenza, perché tu, Signore, sei luce; infiammandoli all’amore, perché tu, Signore, sei amore; ponendo la tua dimora in loro, e riempiendoli di beatitudine, perché tu, Signore, sei il sommo bene, eterno, dal quale proviene ogni bene e senza il quale non esiste alcun bene”. (FF 266-267). Ringraziamo il Signore per il dono della sua parola quotidiana, che dobbiamo imparare sempre di più ad ascoltare in questo cammino quaresimale. Preghiamo affinché questo tempo di conversione ci offra orecchi per guardare con gli occhi del cuore la bellezza di Dio. Vi auguriamo di cuore una buona domenica.
Laudato si’!