Domenica 23 gennaio, III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C
Lc 1,1-4; 4,14-21
Camminiamo ancora sui passi del vangelo, in questa domenica della parola nella settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il vangelo di oggi ci aiuta a capire ancora di più la forza della parola, il suo significato, il suo scopo, e come Gesù sia l’esempio per eccellenza della parola incarnata, che ci porta alla liberazione dalle nostre schiavitù. Il brano di questa domenica si compone di due pezzi ben distinti del Vangelo di Luca. La prima metà, rappresenta i primissimi versetti del libro dell’evangelista; la seconda metà, al capitolo 4 del libro, l’inizio della predicazione di Gesù in Galilea, dopo le tentazioni nel deserto. Nella prima parte, Luca si presenta come l’unico, tra i quattro evangelisti, a non essere un testimone oculare: è uno di noi, come noi è stato raggiunto da una parola, da un racconto, e prova a tramandare questa parola, rielaborando il racconto come dovrebbe fare ciascuno di noi. Nella seconda parte sentiamo la parola promessa da Isaia, pronunciata da Gesù nella sinagoga di Nazareth: si compie l’anno di grazia del Signore, la liberazione dalle schiavitù e la vista ai ciechi.
Ognuno di noi è in cammino, e proprio in cammino Luca esprime il racconto della storia di Gesù. Un cammino che conduce da Betlemme, e dalla Galilea, fino a Gerusalemme. Lo stile di Luca è di raccontare dei fatti, mettendoli un po’ in ordine, come ci dice sin dalle primissime parole. Luca secondo la tradizione è un medico, tutta la prima parte del suo vangelo è una sorta di “logoterapia”, di cura attraverso la parola. È centrale il ruolo della parola, del racconto. Luca è uno stupendo compagno di viaggio!
Nel prologo si parla dell’argomento del vangelo, la tradizione ricevuta, il cercare di mettere in ordine tutto. Al centro ci sono gli avvenimenti (“pragmata”), ci sono gli altri che hanno già scritto, ci sono i testi, c’è soprattutto un “noi” che esprime la comunità, da cui emerge questo “anche io” di Luca che mette mano al racconto, e questo “tu” che è il destinatario dello scritto, l’illustre Teofilo. Le singole persone, il me e il te, sono immagine di tutta la comunità, già istruita sui racconti di Gesù. Non si tratta quindi di un lavoro da solista, ma di una azione corale, nel racconto e nella tradizione.
Il vangelo non è una filosofia, un’ideologia, una morale, una legge, una illuminazione. Sono dei fatti, degli avvenimenti. Non sono idee, ma fatti storici. La fede cristiana deve essere sempre ancorata nella storia, perché l’uomo vive delle sue memorie. La cultura, il cibo, la storia, ci aiutano a costruire il cammino di ogni giorno, il futuro, i ricordi. Ci sono avvenimenti che ci dicono qualcosa di nuovo nella storia dell’uomo. Non è l’eterno ritorno dell’identità, un cane che si morde la coda, dove c’è un racconto di morte, come spesso capita nelle nostre narrazioni che scivolano nel finale funesto che già avevamo previsto. Ma questi fatti ci raccontano la fine di questa storia fatalistica e tragica, con la resurrezione abbiamo una luce nuova. Siamo noi che possiamo scegliere, con l’amore, di vincere questa morte. Questa è la bella notizia del vangelo.
I fatti raccontati da Luca realizzano il compimento dell’attesa, e usa parole. Queste parole aiutano a uscire da questo eterno ritorno, attraverso fatti compiuti realmente, in cui i desideri profondi dell’uomo di giustizia, di amore e di solidarietà si sono realizzati. Ciò che era promesso da Dio, desiderato dall’uomo, si è realizzato, e Luca si prende l’impegno di raccontarlo.
Se ci fermiamo solo alla ideologia, senza comprendere i fatti, senza un racconto, rischiamo di vivere come i due discepoli di Emmaus, che chiuderanno tutto il racconto: possiamo avere chiara tutta la filosofia che c’è dietro, essere preparatissimi, ma lungo la strada di ogni giorno non comprendiamo nulla, e rimaniamo delusi. Se abbiamo già le nostre idee ben costruite, e non ci lasciamo interrogare lungo la strada, rischiamo di vivere solo di rimorsi: “non ci ardeva il cuore?” Abbiamo bisogno di un racconto, e che sia ordinato!
I testimoni oculari divennero ministri della parola, letteralmente “rematori”. Non sono dei guru. Il guru è colui che ha la verità, e ciascuno deve credere a quella verità. Il nostro mondo, adesso, è pieno di guru, ma poco di rematori della parola. I “molti” di cui parla Luca, invece, sono dei servi, schiavi condannati a remare le barche di guerra, essendo tutti noi sulla stessa barca in direzione della verità. Nessuno è maestro, ma ciascuno, con la propria testa, ha il dovere di giudicare se quella parola tramandata è vera o falsa. Pietro non è “padrone della vostra fede”, ma servo. La barca è la parola, che ci accompagna nel mare e ci conduce alla terra promessa. Una bella immagine, presa in prestito dal creato, il mare, la terra, e questa barca che solca le onde.
Luca ha seguito da vicino, dall’inizio, tutto, con cura e con ordine. Quanto impariamo noi dal metodo di Luca? Gli avvenimenti che viviamo ogni giorno, li seguiamo da vicino, o diamo uno sguardo sommario, distratto? Li seguiamo dall’inizio, o ci fermiamo a racconti parziali? Lo facciamo con cura, o con pressapochismo?
Con un salto, il vangelo di oggi passa al capitolo 4 e ci presenta il discorso inaugurale di Gesù. La scena è ambientata in giorno di sabato, l’azione di Gesù è descritta da questa predica inaugurale in cui lui si presenta ai suoi. C’è già stato il battesimo, nel silenzio e nella preghiera, ci sono state le tentazioni, rispondendo a Satana, e adesso Gesù parla a quelli della sua quotidianità. Gesù ritorna dal Giordano e dal deserto, in pienezza di Spirito ricevuto nel battesimo, lo spirito che non cede alle lusinghe del male. La sua attività principale è insegnare. Luca come detto è medico, ci racconta l’azione di Cristo che cura tutti anzitutto attraverso le sue parole. L’uomo vive in funzione delle parole che ha nel cuore, questo regola le relazioni con gli altri, con il creato. Va a insegnare a Nazareth, nella Galilea, nel suo quotidiano, in sinagoga. Il luogo della vita quotidiana è dove si realizza il vangelo, anche se a volte noi ci aspettiamo luoghi diversi, luoghi lontani.
Il sabato è il giorno di festa, la compiutezza della creazione, il riposo. Gesù si alza per leggere Gesù si siede al termine. Nel mezzo, c’è la sua azione con il testo sacro. Anzitutto si alza per leggere, in greco αναγνωρίσει “riconosco”, leggere è riconoscere la realtà che c’è dietro le parole. Il verbo alzarsi, “levarsi”, è lo stesso usato per la resurrezione. Gesù risorto ci fa riconoscere la Scrittura. Aprì il rotolo e lesse, due azioni che non sono per nulla banali. Non tutti noi “sappiamo leggere”, né tanto meno abbiamo la dignità di aprire il libro, la verità rimane sigillata. A volte nessuno è in grado di aprire questa verità sigillata di sette sigilli, come descritta in Apocalisse, e tutti piangono perché nessuno lo sa leggere! Solo l’agnello è in grado di leggerlo, solo Gesù ha questa autorità. Qui, nella umile sinagoga di periferia, Gesù si mostra in questo suo ruolo unico.
Con le parole di Isaia, Gesù interpreta tutta la sua missione. Isaia 61 parla del Messia, della pienezza dello spirito. Lo Spirito della fraternità, ricevuto in coda nel fiume del Giordano, mostra che lui è l’unto del Signore, perché Gesù riesce a essere fratello di tutta l’umanità. È vicino ai poveri, il termine greco indica il povero senza volto, il “pitocos”, necessario di tutto. Tutti noi siamo “pitocchi” necessari di tutto, di vita, di amore, di autostima, di gioia. La bella notizia viene raccontata a ognuno di noi, per questo Gesù è stato unto.
La prima bella notizia è la libertà degli schiavi: conosciamo tante schiavitù, interiori, le più dure, e quelle esteriori degli altri che ci opprimono. E conosciamo un concetto di libertà, che è diversa da quella promessa nel rotolo di Isaia: non tanto fare quello che ci piace o ci torna comodo, ma la liberazione dalle schiavitù. Addirittura il testo non usa neppure la parola “libertà”, ma “mandare via”, lo schiavo viene mandato via dalla condizione di schiavitù.
La seconda bella notizia è la vista ai ciechi. A volte il nostro peccato più grande è “dire di vedere”, come capita ai farisei, piuttosto che essere ciechi, che alla fine almeno sarebbe facile da guarire! Il vangelo ci apre gli occhi, ci evita letture faziose e deliranti della realtà. Questa la condizione per abitare la terra, per vedere e vivere una relazione vera con gli altri e con tutto il creato.
La terza notizia è la riammissione in libertà degli oppressi. L’anno di grazia, l’anno di giubileo, è ripreso da Levitico 25, in cui si codificano le condizioni per vivere la terra promessa, cioè il nostro pianeta adesso! La nostra terra è vivibile quando ci rendiamo conto che tutto ciò che c’è è dono gratuito di Dio. Non siamo liberi, siamo ciechi, quando ci convinciamo che non siamo tutti “poveri”, e a qualche uomo che riteniamo “meno povero” domandiamo, a caro prezzo, ciò che Dio ci dona gratuitamente! Se viviamo i doni da rivali, distruggiamo il fratello e divoriamo il pianeta, ben oltre le nostre necessità che nascono dal nostro essere poveri. Nel Levitico da le condizioni pratiche, ogni sette settimane in questo anno santo: ridistribuire le ricchezze per lasciare che la troppa povertà non renda la società più vulnerabile, evitare che i “troppo poveri” generino guerre e siano l’anello debole della comunità, più facilmente corruttibile dallo straniero.
Gesù viene a proclamare che questo anno di grazia è arrivato. I primi cristiani, non dimentichiamolo, mettevano infatti in comune i loro beni, per esempio. La condizione per vivere da “uomini”, da figlio e fratello, senza disprezzare nessuno. Quanto sarebbe bello se, per il nostro pianeta, vivessimo la consapevolezza di questo anno di grazia!
Gesù si siede. Tutti gli occhi sono fissi su di lui. C’è silenzio. E Gesù parla di orecchi: “oggi si è compiuta questa Scrittura nei vostri orecchi”. Oggi, una parola che ricorre spesso nel vangelo di Luca, fino all’ultimo “oggi” detto da Gesù sulla croce al malfattore crocifisso al suo fianco. Questo è il primo “oggi”, che ci fa uscire dal deserto e ci fa entrare in un giardino. Tutto dipende dal nostro presente, è adesso il tempo opportuno. Non dobbiamo attendere altri tempi per agire!
Da chi è compiuta questa Parola? Si compie nei nostri orecchi, se noi lo vogliamo. Ci resta solo di comprenderla e agire di conseguenza. Teofilo, letteralmente, è chi ama Dio. Il vangelo è indirizzato a chi cerca Dio, per dirgli che scoprirà di essere “amato da Dio”. Tu, in prima persona, devi renderti conto se è vera o meno la solidità di questa parola. Ciascuno di noi non è tenuto a credere, ad avere fede cieca, non è questo lo scopo della parola. Faremmo l’errore dei guru. La parola è comunicazione di sé, e ci accompagna a capire se sono solide le sue fondamenta. Dobbiamo fare così, oggi, con ogni parola, dai giornali, ai social, verificare se sono vere, o false, se non danno vita, se non rispondono al desiderio profondo dell’uomo di essere come Dio, sull’esempio della vita di Cristo raccontata nel vangelo. La parola compie azioni concrete, verso un mondo più giusto, come ci esorta Santa Chiara di Assisi, che dice: “E amandovi a vicenda nell’amore di Cristo, quell’amore che avete nel cuore, dimostratelo al di fuori con le opere, affinché le sorelle, provocate da questo esempio, crescano sempre nell’amore di Dio e nella mutua carità” (FF 2847). Vi auguriamo di cuore una buona domenica della parola!
Laudato si’!