Domenica 6 febbraio
V Domenica del tempo ordinario – Anno C
Lc 5, 1-11

Nel brano di questa domenica, giornata della Vita, la scena ci descrive qual è la nostra missione nel mondo. Qual è il momento migliore che sceglie Dio per chiamarci? Come ci vuole Dio? Fino a qui, il vangelo di Luca ha raccontato la predicazione di Gesù e miracoli che ha compiuto, guarendo gli uomini dalle malattie. Adesso invece cambiano i riflettori. Questo è il vangelo per noi. Ci invita a pescare con lui, invitandoci a fare altrettanto. Tutto il brano di oggi ruota intorno a tre momenti del logos, della parola: all’inizio c’è la parola che Gesù rivolge alla folla; poi c’è la parola delle istruzioni, e su questa parola vengono calate le reti; infine c’è la parola della chiamata alla missione. Rispetto al vangelo di Giovanni, che pone una scena simile dopo la Pasqua, Luca sceglie di raccontare questa scena all’inizio della missione comunitaria di Gesù, proprio nella chiamata dei suoi apostoli.

Siamo al mattino, come sempre in un contesto di immersione nel creato, che ci parla oggi attraverso sorella acqua, attraverso il lago. Nella scena si vede la vita quotidiana, il lavoro umile e ripetitivo, pescatori che dopo la pesca notturna riparano le reti. In questa quotidianità c’è una folla, un gregge, che ha sete di essere guidato dal suo pastore, da Gesù ritto in piedi, davanti alle acque, come Mosè durante l’esodo. Gesù vede le barche, sono due, protagoniste del brano.

Cosa è una barca? A pensarci bene, non è altro che un pezzo di legno che galleggia sul mare, che ci aiuta ad andare da una sponda all’altra. È immagine della chiesa, dove si deve stare insieme anche se tutti diversi, dove si galleggia, si fa insieme la stessa traversata. Immagine della nostra casa comune, scelta dal Papa in uno dei momenti più drammatici della pandemia, quando a una piazza San Pietro deserta in cui tutti noi eravamo presenti, disse: “Siamo tutti sulla stessa barca, nessuno si salva da solo”. La barca richiama l’arca di Noè, la barca è di legno, fragile, come il legno di leccio con cui è fatta la croce, che ci porta dalla sponda di morte alla sponda della salvezza. Questa barca è piccola, fragile: proprio come la chiesa, proprio come la casa comune, piccola, fragile. Gesù vede le due barche, e sceglie quella di Simone per parlare da questa barca. Due barche, come la pluralità di “chiese”, di voci, di carismi, ma in cui Gesù indica già una priorità, un punto da cui parlare alle folle, indica un ordine. Seduto, insegna, da questo luogo fragile, invita la folla a compiere l’esodo.

Dopo aver parlato, per pescare le folle dell’abisso della sofferenza, per liberare dal male, Gesù dice a Simone: “Prendi il largo”, da notare al singolare, e poi: “gettate le vostre reti”, al plurale. Un gioco sottile di singolare-plurale in tutto il dialogo. Il messaggio è per uno, ma per tutti, la risposta di tutti è anche la mia, ogni scelta è intimamente connessa con gli altri, tutto è connesso. L’unità della barca è sia singolare che plurale, come la stupenda biodiversità dei carismi della chiesa. L’invito di Gesù a Simone è letteralmente: “Conduci fuori nel profondo”, la chiesa è chiamata a pescare nel profondo, al largo, nel cuore del mondo, del peccato. Pescare uomini non perché “devono abboccare all’amo” come spesso capita nella società, piena di specchietti per le allodole! Ma perché gli uomini, nel profondo del mare, affogano, e la pesca aiuta gli uomini a respirare, a vivere.

La cosa bella è che queste “istruzioni” vengono date da un falegname a dei pescatori di professione. Al massimo, Gesù come falegname poteva aggiustare la barca, e infatti lo chiamano “maestro” quasi con tono irriverente! Sono istruzioni senza senso, quasi offensive dell’intelligenza dei pescatori, la pesca diurna era destinata a non avere alcun successo. Non hanno senso: per noi ha senso solo quello che riusciamo a fare. Ma quella notte non avevano pescato nulla, erano nel pieno del fallimento. Gesù ci interroga dentro al nostro fallimento, dentro al fallimento della chiesa, pur nel rispetto delle regole, pur pescando di notte.

“Ma sulla tua parola” detto da Simone ci ricorda Maria nella casa di Nazareth visitata dall’angelo, a cui rispose “avvenga secondo la tua parola”: in Luca, qui c’è un ricordo dell’Annunciazione, perché la differenza, nella nostra vita, viene fatta quando accogliamo la sua parola! Finché confidiamo solo sulle nostre intelligenze, su ciò che già sappiamo, siamo destinati a non pescare nulla. Se impariamo da Maria a fidarci della parola, allora riusciremo certamente a concepire Dio nel mondo.

“Getterò le reti”, al singolare, è il gesto della evangelizzazione. Le reti vengono calate nell’abisso, reti fatte di connessioni, di nodi, di relazioni, che ci aiutano tutti a emergere dall’acqua del diluvio, ci consentono di respirare. Questo ascolto genera un prodigio! Torna in scena la seconda barca, in aiuto della prima, per raccogliere la moltitudine dei pesci pescati, al punto che quasi si strappano le reti. Le reti non si strappano però, e le barche rischiano quasi di rimanere sommerse per il peso, ma non affondano. Si descrive la sovrabbondanza, dovuta all’ascolto della parola, impensabile prima. I pescatori fanno cenno “di aiutarli”, letteralmente “di concepirli”, con lo stesso termine usato per definire “i pesci che avevano concepito”, i pesci pescati. Lo stesso verbo usato dall’angelo verso Maria, “concepirai un figlio“. Perché si usa la stessa parola? Qui uomini “concepiscono” pesci, perché quando noi salviamo un fratello, salviamo Cristo, concepiamo Dio sulla terra. Questa salvezza che si diffonde per contagio, è la nostra opportunità di mettere alla luce un uomo nuovo, un figlio di Dio. Pescare, in fondo, è concepire l’altro! Paolo dirà lo stesso dei primi cristiani, ricordando le sue doglie del parto nel suo ministero.

Simone, che qui diventa anche “Pietro”, si getta in ginocchio e pone subito una distanza con Gesù: io sono un peccatore! Non sono degno di te! Va via da me! Prima lo chiama “maestro”, adesso lo chiama “Signore”. Siamo sempre convinti di un Dio giudice e severo, siamo sempre lontani dal Gesù delle nozze di Cana, che risponde al nostro desiderio di gioia moltiplicando il vino! Se ne vediamo i prodigi, subito non ci riteniamo all’altezza di Dio. In Pietro spaventato ci siamo tutti noi, in fondo. Solo quando Pietro avrà vera consapevolezza del suo peccato, non solo il battersi il petto di facciata, che incontrerà il vero volto di Cristo misericordioso. Ma qui siamo alla prima chiamata.

Noi siamo chiamati non perché siamo bravi a pescare, ma siamo chiamati nel nostro peccato, nel nostro limite, nel fallimento. Siamo chiamati a sperimentare la fecondità ascoltando la parola, non siamo bravi “a priori”, ma la bravura sta nel riconoscersi “pescati” da Gesù. Lo stupore, la contemplazione, prende lui e tutti gli altri, è una preghiera intima ma anche comunitaria. La risposta di Gesù, presente nella Bibbia per 365 volte, è “non temere”. Ogni giorno, in tutto l’anno, Dio ci dice “non temere”. La chiamata è nel fallimento, nel riconoscersi peccatore. Farai anche tu altrettanto con gli altri: “pescatore di uomini”, letteralmente sarebbe meglio “cacciatore per la vita”, il termine originale indica l’azione di caccia non destinata a cibarsi della preda, ma solo per catturare le prede vive. Non si tratta di pescare per uccidere gli uomini, ma per salvarli dalle menzogne del mondo!

Le barche vengono ricondotte sulla terra, e gli apostoli lasciano tutte le cose. Hanno trovato un tesoro, hanno trovato qualcuno per cui vale la pena lasciare tutto, cioè lasciare niente, spogliarsi come Francesco nel tribunale di Assisi, e seguire Cristo, il tutto. Ricordando le parole del Poverello nella stupenda parafrasi del Padre Nostro, siamo invitati come i pescatori a fare nella parola la volontà di Dio: “Sia fatta la tua volontà, come in cielo e così in terra: affinché ti amiamo con tutto il cuore, sempre pensando a te; con tutta l’anima, sempre desiderando te; con tutta la mente, orientando a te tutte le nostre intenzioni e in ogni cosa cercando il tuo onore; e con tutte le nostre forze, spendendo tutte le nostre energie e sensibilità dell’anima e del corpo a servizio del tuo amore e non per altro; e affinché possiamo amare i nostri prossimi come noi stessi, trascinando tutti con ogni nostro potere al tuo amore, godendo dei beni altrui come dei nostri e dei mali soffrendo insieme con loro e non recando nessuna offesa a nessuno” (FF 270). Ringraziamo sempre il Signore per il dono delle reti, oggi, che ci portano fuori dell’abisso attraverso la sua parola che salva, e preghiamo affinché diventiamo docili a questa parola, e a nostra volta possiamo portare così la salvezza ai fratelli e alla nostra casa comune. Vi auguriamo di cuore una buona domenica.

Laudato si’!