Domenica 30 gennaio
IV Domenica del tempo ordinario – Anno C
Lc 4,21-30
Continua in questa domenica, giornata mondiale dei lebbrosi, il cammino sui passi del Vangelo, con un brano che rappresenta la conclusione del vangelo di domenica scorsa. Un testo che ci può aiutare a guardarci dentro, nella nostra lebbra di ogni giorno, e farci ascoltare i nostri desideri più sinceri, comprendendo perché a volte questa lebbra non scompaia veramente.
Gesù esordisce dicendo: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Abbiamo visto domenica scorsa il significato della parola “oggi”, che in questo brano compare per la prima volta nel vangelo di Luca, è verrà pronunciata da Gesù sette volte fino all’ultimo “oggi” pronunciato sulla croce, quando dichiarerà il primo santo che entra in Paradiso, il malfattore crocifisso al suo fianco. “Oggi” è la chiamata del Vangelo, la chiamata della Laudato Si’, che ci invita a uscire dal deserto di Nazareth fino al giardino del Golgota, per rendere il nostro pianeta, nell’ascolto del grido della terra e dei poveri, un giardino piuttosto che un deserto. Il riferimento precedente al Levitico, nel passo di Isaia letto da Gesù dal rotolo, è una prova di questa richiesta di un mondo più giusto e sano.
È oggi il kairos per fare delle scelte, per vivere questo “anno di grazia” promesso dal passo di Isaia. Il compimento avviene “negli orecchi”, in ciascuno di noi che la ascolta e la mette in pratica! Il compimento, che come effetto ha la liberazione degli schiavi, la vista ai ciechi, e in qualche modo la scomparsa della lebbra nel mondo, può essere realizzato da noi, oggi, senza attendere un mago che sistemi tutto in un futuro indefinito. La gente presente nella sinagoga si meraviglia delle parole di Gesù. A pensarci bene, non fa una lunga predica, ma dice una frase breve. Ma le parole sono piene di grazia. La gente è raggiunta dal desiderio di essere resi liberi, di vedere. Succede però che alla gioia più istintiva, si insinua subito il dubbio: l’unto del Signore non può essere lui, non può venire dalla Galilea, lui lo conosciamo, conosciamo la sua famiglia. Ha origini troppo umili, lo scandalo è che questa parola si realizzi in un uomo qualunque. Faceva più effetto arrivare con “effetti speciali”, ma comprendere che la salvezza arrivi da Dio che sceglie di abitare il nostro limite e la nostra fragilità, questo fatichiamo proprio a comprenderlo!
Invece la sapienza e la potenza di Dio si manifestano nel limite, nella croce, nell’Amore. Anche “oggi”. E anche oggi, noi fatichiamo a contemplare questa verità, a gioire per questa verità, così come avvenne nella sinagoga di Nazareth. La gente da Gesù pretende segni, come quelli fatti altrove. La pretesa è l’opposto dell’attesa, la distruzione della fiducia, del dono. Per questo Gesù, alle pretese, risponde dicendo che a loro non può offrire il dono. A Cafarnao, come alla vedova a Sarèpta di Sidòne o a Naamàn, il Siro, la cosa importante non è che fossero stranieri, ma il fatto che non avessero preteso i segni. Ciò che si è compiuto è stato un dono, gratuito e apprezzato. La salvezza è un dono, non si può pretendere. Il risultato delle nostre pretese, è la collera.
Lo scacciano “fuori dalla città”, anche qui prefigurazione della passione, quando Cristo verrà crocifisso in un giardino fuori dalla città. Lo conducono sul ciglio del monte, come quando alla fine salirà sul Golgota, condotto dalla folla oltre le sue forze. Lo vogliono gettare giù, come nel finale vorranno gettarlo negli inferi, innalzandolo sulla croce. Ma cosa fa Gesù? Il suo gesto ci lascia senza parole: “passando in mezzo a loro, si mise in cammino”. Camminare come proseguire, seguire una strada, passando in mezzo, non scappando. Anche nella nostra incomprensione, Gesù si mantiene sempre a fianco. Tutto il vangelo di Luca, lo abbiamo detto, è un grande cammino, e questo brano che apre la predicazione di Gesù si mostra come un cammino. Il brano di domenica scorsa, che è la prima metà di questo, si apriva con l’espressione “Venne a Nàzaret”, e si chiude oggi con Gesù sempre in cammino.
Questa domenica, nel nostro cammino verso la conversione ecologica, siamo tutti chiamati a guardarci nella gente di Nazareth, nella nostra lebbra: quante volte, al nostro fianco, noi ci scandalizziamo di profeti che ci portano la parola del Vangelo? Quante volte fatichiamo a riconoscere Dio nel limite, nella fragilità di chi ci passa accanto, del Creato che ci parla con la firma di Dio? Questa domenica siamo tutti invitati a fermarci alla meraviglia iniziale della gente di Nazareth, alla sete dei nostri desideri più belli, e confidare in Dio con lo sguardo semplice dei piccoli, senza insinuare il dubbio con le nostre false certezze, che ci portano a dire: “Non sei tu il figlio del falegname?”. Sembra quasi di vedere l’immagine del giovane Francesco, appena convertito, che per le strade di Assisi incontrava lo scetticismo dei suoi compaesani, che lo vedevano chiedere l’elemosina: “Non sei tu il figlio di Pietro di Bernardone?”
Di fronte a questo scetticismo, lasciamoci accompagnare invece dalle parole del Poverello, che nella sua stupenda perifrasi del Padre Nostro dice: “Venga il tuo regno: perché tu regni in noi per mezzo della grazia e ci faccia giungere nel tuo regno, ove la visione di te è senza veli, l’amore di te è perfetto, la comunione di te è beata, il godimento di te senza fine” (FF 269). Chiediamo al Signore il dono del regno di Dio, oggi, che si può compiere nei nostri orecchi, se solo lo desideriamo. Vi auguriamo di cuore una buona domenica.
Laudato si’!